Cantiere aperto alla British School at Rome. Si lavora a un programma sui rapporti tra architettura e altri linguaggi. Due anni di eventi, ricordando la Londra anni Cinquanta di “This is Tomorrow”. Ecco i primi nomi
Era l’8 agosto del 1956 e la Whitechapel Gallery di Londra inaugurava una mostra coraggiosa, futura pietra miliare nella storia dell’arte e dell’architettura contemporanee. This is Tomorrow, partorita dalla mente del critico Theo Crosby, avrebbe anticipato, come da profetico titolo, la new wave estetica e culturale pronta ad esplodere. Il Pop, innanzitutto, con quell mix […]
Era l’8 agosto del 1956 e la Whitechapel Gallery di Londra inaugurava una mostra coraggiosa, futura pietra miliare nella storia dell’arte e dell’architettura contemporanee. This is Tomorrow, partorita dalla mente del critico Theo Crosby, avrebbe anticipato, come da profetico titolo, la new wave estetica e culturale pronta ad esplodere. Il Pop, innanzitutto, con quell mix tra cultura alta e cultura bassa, con quella celebrazione dell’oggetto qualunque sottratto alla foga del consumo, con quella verve ironica e giocosa che trascinava giù dal piedistallo l’opera d’arte come sempre l’avevamo conosciuta e intesa. E poi, su un versante opposto, lontano dal fragore delle pubblicità e dei media, una corrente – anch’essa destinata a mettere radici salde – attenta allo spazio urbano, alla dimensione sociale, alla storia, al simbolico e all’umano, sempre in chiave collettiva. I protagonisti? Un gruppo eterogeneo di architetti, artisti, graphic designer, critici, riunitisi in 12 piccoli gruppi, per indagare insieme il presente, gettando le basi del prossimo futuro. Visionari, progettisti, cronisti, esploratori, gettatisi senza paracadute tra in cieli convulsi della contemporaneità, subito oltre la metà del secolo. Tra loro – quasi tutti provenivano dall’Independent Gorup dell’ICA – c’erano Eduardo Paolozzi, Richard Hamilton, Peter Blake, David Bailey, John Cowan, Don McCullin, Robert Whitaker, Cedric Price, Archigram.
Oggi, ricordando quell’incredibile esperienza, la British School at Rome mette in cantiere un maxi progetto biennale che, tra ottobre 2013 e dicembre 2015 vedrà in campo un esercito prestigioso di achitetti, musicisti, registi, compositori, scienziati, economisti, scrittori e sociologi, chiamati a riflettere sui punti di tangenza tra l’architettura e le altre discipline creative e intellettuali. Ne viene fuori un lungo ciclo di conferenze, mostre, performance, tutte pensate nell’ottica di una analisi dei processi comuni, degli scambi, delle contaminazioni culturali, sfruttando la permeabilità e la flessibilità che i vari campi del sapere hanno assunto negli ultimi decenni. I nomi? Ancora tutto in lavorazione e nessuna comunicazione ufficiale, ma qualcuno siamo riusciti a carpirlo. Da Adam Caruso – che torna alla British School dopo la grande mostra del 2007 – a Thomas Demand, da Bryan Eno a Thomas Schutte, da Amos Gitai a David Adjaye, uest’ultimo in mostra anche lui all’Accademia Britannica nel 2008. E poi un italiano, Alfredo Pirri, tra le figure più azzeccate per scandagliare il rapporto tra arti visive e architettura. Un grande cantiere, che da una gloriosa esperienza sbocciata nel milieu britannico di fine anni Cinquanta arriva all’inizio del nuovo millennio: l’Inghilterra a fare ancora da soggetto propulsore, e l’Italia come palcoscenico nuovo.
– Helga Marsala
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