La performance sarà anche tua, ma le foto sono mie e decido io! Lo Schloss Moyland Museum vince il ricorso contro la vedova di Joseph Beuys, che impediva l’esposizione della documentazione di un’azione del ‘64
Un conto è un quadro, una scultura, persino un video. Tutto ciò insomma che vive la propria dimensione di opera d’arte in un ambito concreto e tangibile: qualcosa che posso toccare, archiviare, custodire, vendere e comprare. Altro paio di maniche quando si entra nel campo della performance. Nell’effimero più puro. La documentazione di un’azione è […]
Un conto è un quadro, una scultura, persino un video. Tutto ciò insomma che vive la propria dimensione di opera d’arte in un ambito concreto e tangibile: qualcosa che posso toccare, archiviare, custodire, vendere e comprare. Altro paio di maniche quando si entra nel campo della performance. Nell’effimero più puro. La documentazione di un’azione è opera essa stessa? Chi esercita potere discrezionale sul materiale? L’artista? L’esecutore di video o foto? Il committente? Quesiti arcani che gonfiano le pagine della critica d’arte e – almeno in Germania – i faldoni dei tribunali. Continua a fare giurisprudenza la questione che oppone lo Schloss Moyland Museum e la signora Eva, vedova di Joseph Beuys: il Der Standard riferisce di una nuova puntata della querelle che vede oggetto del contendere diciannove immagini di una performance che risale esattamente a mezzo secolo fa. Scatti firmati Manfred Tischer, unica testimonianza rimasta di Marcel Duchamp’s silence is overrated: un paradosso considerato che l’azione era stata tenuta in uno studio della televisione tedesca, senza che nessuno abbia filmato e trattenuto prova dell’evento.
Nel 2009 il tribunale di Dusseldorf si era pronunciato in favore di Eva, ordinando che l’esposizione delle immagini fosse vincolata al beneplacito degli eredi di Beuys, e non fosse a discrezione del museo. Le foto di Tischer, per il giudice, costituivano una “scorretta deformazione della perfomance” e quindi non andavano mostrate liberamente al pubblico, pena una sanzione per danno di immagine di 250mila euro. Lo Schloss Moyland impugna la sentenza e ottiene oggi dalla Suprema Corte Federale di Karslruhe il proprio riscatto: le fotografie non sono parte integrante dell’opera, dunque non sono sottoposte ai vincoli e ai limiti cui soggiace quest’ultima. Sarà la volta, ora, di un controricorso?
– Francesco Sala
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