Opere da aperitivo con Affordable Art Fair, che tiene alta l’attenzione su di sé portando tre artisti ed altrettante gallerie alla Terrazza Aperol di Piazza Duomo. Mostra temporanea tra uno spritz e l’altro
C’è la vecchia storia del Four Seasons. Sta nel Seagram Buliding disegnato da Mies van der Rohe. Con le opere commissionate da Philip Johnson a Mark Rothko. Che le esegue, le completa e le colloca, salvo poi rendersi conto che i suoi lavori come sfondo per una sala da pranzo non ci stanno granché bene. […]
C’è la vecchia storia del Four Seasons. Sta nel Seagram Buliding disegnato da Mies van der Rohe. Con le opere commissionate da Philip Johnson a Mark Rothko. Che le esegue, le completa e le colloca, salvo poi rendersi conto che i suoi lavori come sfondo per una sala da pranzo non ci stanno granché bene. Così li toglie e li manda alla Tate. Precedente arcinoto a significare il rapporto certo non agevole tra arte contemporanea e spazi eterodossi per la sua fruizione. Bar, ristoranti, negozi, uffici… Difficile trovare la quadra senza provare un certo senso di svilimento per l’opera in sé, condannata spesso a passare in secondo piano – questo a prescindere dal suo valore intrinseco – quasi si trattasse della più anonima stampa da grande magazzino. Non ce l’hanno fatta, a loro tempo, Johnson e Rothko (benché il Four Seasons abbia esposto o esponga Pollock, Picasso, Mirò, Stella e compagnia bella). Non riescono a fare meglio, a Milano, nella Terrazza Aperol disegnata da Antonio Piciulo, dove in un profluvio di spritz inaugura Fantasy. Il mandante è l’Affordable Art Fair, che chiama a raccolta tre gallerie della sua scuderia con opere di altrettanti artisti da portare al secondo piano dell’Autogrill Duomo Store, già Caffè Motta, dove il bar in livrea arancione apre il proprio sguardo sulla Madonnina, la torre Velasca, l’Arengario e buona parte del cuore di Milano. Rispondono all’appello le surreali composizioni di Arianna Piazza, le accumulazioni visuali di Veronica Green e i paperini noir firmati da Luigi Leonidi, certo non al massimo dell’agio in un contesto che li vede quanto meno sacrificati. Sì dunque all’arte al bar, nel tentativo legittimo di accalappiamento degli ossobuchivori versione 2.0; e sì pure al prezzo esposto: di merce si tratta, per quanto nobile, come tale può anche essere trattata. No però all’allestimento approssimativo e alle scelte poco accorte, senza entrare nel campo più soggettivo della qualità dei lavori, su cui ognuno è libero di dire la propria. Del resto non è semplice portare l’arte tra tavolini e menù. Se non ci sono riusciti a loro tempo Johnson e Rothko un motivo dovrà pur esserci.
– Francesco Sala
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