Artista alla sbarra in quel di Kassel, Jonathan Meese finisce in tribunale per rispondere di un saluto nazista, ingrediente essenziale della sua più recente performance. La tesi difensiva: “ciò che faccio in nome dell’arte è protetto dalla Costituzione”
Indossa un paletot grigio e occhiali da sole vintage. Calca sui ricci un pickelhaube, il tipico elmetto chiodato passato dalla polizia prussiana all’esercito tedesco impegnato nelle trincee lungo la Marna. Si agita e si contorce, lancia le sue invettive abbracciando il torso di un manichino – i seni plastici duri come marmo, il volto occultato […]
Indossa un paletot grigio e occhiali da sole vintage. Calca sui ricci un pickelhaube, il tipico elmetto chiodato passato dalla polizia prussiana all’esercito tedesco impegnato nelle trincee lungo la Marna. Si agita e si contorce, lancia le sue invettive abbracciando il torso di un manichino – i seni plastici duri come marmo, il volto occultato da un maschera che ricorda un alieno. Fino a quando, nel climax della creazione, arriva l’acme di quel braccio teso in un saluto nazista. E qui, logico, apriti cielo. Finisce davanti a una corte la performance che Jonathan Meese (Tokyo, 1970 – vive a Berlino) ha tenuto nei mesi scorsi a Mannheim: prima udienza al tribunale di Kassel – ironia della sorte! – per l’artista accusato di apologia di nazismo. Non ci va giù leggero, il nostro: a giugno, sempre a Kassel, si era esibito in un’altra azione che prevedeva la simulazione di sesso orale a vantaggio del solito manichino, sempre con volto da alieno, ma questa volta istoriato da una svastica. Troppo per un pubblico che, riportano le cronache dell’evento, abbandona sdegnato il luogo della performance.
Messo alla sbarra l’artista lotta come un leone. “Naturalmente sono innocente” ha dichiarato a Der Spiegel: “ciò che faccio sul palco e in nome dell’arte è protetto dall’articolo della costituzione che tutela la libertà di espressione artistica”. Ma si scontra con quell’altro articolo che vieta espressamente “l’uso di simboli di organizzazioni anticostituzionali”. Mettendo in cima alla lista, è ovvio, il saluto nazista e l’uso della svastica. La faccenda finisce dunque in un cul-de-sac giurisprudenziale, che promette di far discutere a prescindere da quale sarà la sentenza definitiva.
Meese, una personale al MoCA nel 2010 e ingaggiato come scenografo per il Parsifal all’edizione 2016 del Festival di Bayreuth, finisce quindi nel calderone degli artisti che negli ultimi anni si sono misurati – e scontrati – con l’iconografia nazista, mettendo in crisi il rapporto della Vecchia Europa con il proprio passato. Non stiamo a citare l’usato e abusato HIM di Maurizio Cattelan o la Madonna del Terzo Reich di Giuseppe Veneziano; contestazioni e tirate d’orecchie sono arrivate nel 2009 per Ottmar Hoerl, autore della serie di nani da giardino con braccio destro teso.
– Francesco Sala
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