È morto Walter De Maria. Celebrato dalla Biennale di Venezia proprio quest’anno, era uno dei grandi della Land Art a livello mondiale. L’ultimo viaggio a Roma, ad ammirare Borromini
Vedi alla voce: Land Art. A fianco a nomi come Dennis Oppenheim, o Robert Smithson, anche le referenze più sommarie riportano sempre quello di Walter De Maria: da oggi corredato di una data di nascita (1 ottobre 1935) e da una di morte, quella del 25 luglio 2013. Già, anche il tam tam della rete […]
Vedi alla voce: Land Art. A fianco a nomi come Dennis Oppenheim, o Robert Smithson, anche le referenze più sommarie riportano sempre quello di Walter De Maria: da oggi corredato di una data di nascita (1 ottobre 1935) e da una di morte, quella del 25 luglio 2013. Già, anche il tam tam della rete fatica ad accettarlo, temporeggia sperando in una amara beffa che sia presto smentita, ma invece dovrà presto prenderne atto. Se ne va lo scultore statunitense passato alla Land Art dopo un’iniziale esperienza nell’ambito della Minimal Art; se ne va l’autore delle mitiche earth sculptures, colui che nel 1977 a Documenta Kassel fece penetrare nel terreno un’asta metallica per un chilometro.
Ma la sua opera più famosa rimane The Lightning Field, ancora del 1977: 400 pali metallici appuntiti conficcati in verticale nel terreno del deserto del New Mexico, su un’area di circa tre chilometri quadrati, per sfruttare l’effetto-parafulmine in uno straordinario spettacolo di luce. Opera che “mentre rende esplicita l’analogia, nella land art, tra quantità di spazio e quantità di tempo, rende possibile l’equivalenza tra l’età del lavoro e l’età della Terra – come scrisse Germano Celant su Domus -. Critica quindi gli interventi, spettacolari ed effimeri, sul territorio e rifiuta l’informazione dei mass-media a favore di un’esistenza continua e di un’esperienza diretta. Non più attimo illuminante e pirotecnico, ma tensione e distensione espanse, dove l’insieme vive sulla presenza e non sul ricordo e sull’illustrazione registrata”.
Difficile e tutto sommato inutile, in questa sede, citare la lunga teoria delle occasioni ed eventi che hanno fatto la grandezza di De Maria: ci saranno tempo e luogo adeguati per farlo, ora ci basta richiamare alla memoria recentissima la sua installazione che troneggia alla Biennale di Venezia di quest’anno, alla quale Massimiliano Gioni ha voluto affidare il compito di concludere il percorso dell’Arsenale, di compendiare il suo viaggio. E non possiamo fare a meno neanche di citare la personale romana dello scorso anno, da Gagosian: “sono molto felice di essere riuscita a portarlo a Roma in uno dei suoi rarissimi viaggi e una delle ultime (infatti credo l’ultima) mostre da lui realizzate – dichiara ad Artribune Pepi Marchetti Franchi -. Avevamo passato dei giorni straordinari visitando tra le altre cose molte delle architetture di Borromini, di cui ammirava la geometria…”.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati