Guerra e Pace a Pilastro. Dodicesimo anno per la tre giorni di ArtFarm, un raduno per artisti di tutto il mondo. Carrellata di foto, da un’edizione che parla di conflitti e armonie
Una tre giorni a Pilastro nella bassa veronese, dove arrivano artisti da tutto il mondo. E migliaia di persone si danno appuntamento per guardare, indagare, confondersi con le opere. Quest’anno, lo scorso 28 giugno, per la dodicesima edizione è stato introdotto un filo conduttore: “War & Peace”. Ma ogni incontro è andato al di là […]
Una tre giorni a Pilastro nella bassa veronese, dove arrivano artisti da tutto il mondo. E migliaia di persone si danno appuntamento per guardare, indagare, confondersi con le opere. Quest’anno, lo scorso 28 giugno, per la dodicesima edizione è stato introdotto un filo conduttore: “War & Peace”. Ma ogni incontro è andato al di là della pura denuncia, per diventare tassello di un incastro bizzarro di linguaggi.
Pilastro è un luogo della bassa veronese, che sarebbe senz’altro piaciuto al fotografo Luigi Ghirri. Probabilmente vi avrebbe scattato una delle sue foto fatte solo di distanze, vuoti, luci terse. Anche Pilastro è una vastità senza confini, uno spazio quasi cancellato, sfumato, segnato solo dalle poche tracce di un passato che si ostina a non morire: campi di grano, essiccatoi del tabacco, porticati, masserie del ‘600. Così, in questa location spoglia e sublime, ascetica e informe, da dodici anni si danno appuntamento decine di artisti internazionali, per un raduno in stile Woodstock. E i vuoti allora si riempiono, come in un suk alle porte del deserto: saturi di odori, umidità, colori, temperature.
Scottante il tema, “War & Peace: “tappeti di guerra” che vengono dall’Afghanistan, con su immagini di Kalashnikov e veicoli militari, o con universi di inquietanti mostri sacri provenienti dal Benin; e poi armi artigianali fabbricate nel carcere di Panama, maschere tribali costruite in Italia con materiali di recupero… Eppure, ogni riferimento alle problematiche sociali (violenza, malattia, contrasti etnici) scansava veri connotati ideologici. Testi scritti, performance, suoni, dipinti, video e larca costruita dalla giapponese Ohya Rica con legno e fango, diventano solo strumenti per immaginare il mondo in un altro modo. Artisti cubani, austriaci, brasiliani, spagnoli, tedeschi sono arrivati qui armati soprattutto dei loro sogni: il loro impegno è quello di fornirci sistemi di interpretazione della realtà. Niente di più.
Perché questa è unArtFarm, non una roccaforte politica. Passati i tre giorni gli artisti raccolgono i loro strumenti e, come attori di strada, se ne vanno in altre “piazze”. Non ad elevare denunce, ma ad organizzare altre trame di immagini.
Il racconto di quel’ultimo, caldo venerdì di giugno, nella nostra gallery fotografica.
– Luigi Meneghelli
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