Scontro tra archistar: la solita Zaha Hadid e gli Snøhetta tra i papabili per disegnare i padiglioni di Expo 2017, in programma ad Astana. Capitale di un Kazakistan diviso tra modernità e ombre dittatoriali
Dici Kazakistan e pensi, fatalmente, al caso Shalabayeva. All’imbarazzo di Angelino Alfano ed Emma Bonino. Dici Kazakistan e nei file della memoria, archiviata la cronaca più recente, spuntano i nomi di Norman Foster e Bjarke Ingels, tra i più recenti e autorevoli protagonisti della migrazione degli archistar occidentali alla corte di Nursultan Nazarbayev, padre e […]
Dici Kazakistan e pensi, fatalmente, al caso Shalabayeva. All’imbarazzo di Angelino Alfano ed Emma Bonino. Dici Kazakistan e nei file della memoria, archiviata la cronaca più recente, spuntano i nomi di Norman Foster e Bjarke Ingels, tra i più recenti e autorevoli protagonisti della migrazione degli archistar occidentali alla corte di Nursultan Nazarbayev, padre e padrone della nazione, plutocrate autoritario in odore di dittatura. Dici Kazakistan e nessuno ricorda che la sua capitale, l’ormai leggendaria Astana, è assegnataria dell’Expo 2017: quello che verrà dopo Milano, conquistato battendo la concorrenza belga di Liegi puntando sul tema delle energie rinnovabili (Future Energy è il motto). Un successo ottenuto in tempi peraltro già sospetti – la nomina risale al 22 novembre 2012 – confermando la tendenza da parte degli organismi internazionali di non curarsi troppo dell’etica e dei diritti umani quando si tratta di appioppare il carrozzone del grande evento. Vedi le Olimpiadi estive di Pechino 2008 e quelle invernali, imminenti, di Sochi. Queste ultime minacciate di boicottaggi vari.
Tornando al Kazakistan è certo che Astana ama fare le cose in grande. La chiamano short-list, ma contempla la bellezza di quarantacinque nomi: è l’elenco dei preselezionati chiamati a contendersi il progetto per i padiglioni espositivi, destinati a coprire un’area di venticinque ettari nella periferia della capitale. Tra i big figurano, manco a dirlo, la monopolista Zaha Hadid, fresca di missione caucasica in quel dell’Azerbaijan e oggi titolare di un progetto che slancia verso l’alto il marchio di fabbrica delle sue linee fluide; spuntano pure Moshe Safdie e gli studi Snøhetta, UN Studio e Coop Himme(l)blau; per l’Italia Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas.
– Francesco Sala
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