Francesco Vezzoli, dalla Calabria a New York. Quando dici un’opera titanica: una chiesa spostata di continente, a bordo di una nave. Per parlare dell’arte, di Dio e del glamour
Prendi una chiesetta dell’Ottocento di circa 1.500 metri quadri, incastonata in un angolo della provincia del Sud Italia. E immagina di farla a pezzettini, per traghettarla oltreoceano. Follia? No. È l’ultimo progetto di Francesco Vezzoli. Che surfando sul web, tempo fa, inciampò in un’immagine della piccola chiesa cadente di Montegiordano, a pochi chilometri da Cosenza. […]
Prendi una chiesetta dell’Ottocento di circa 1.500 metri quadri, incastonata in un angolo della provincia del Sud Italia. E immagina di farla a pezzettini, per traghettarla oltreoceano. Follia? No. È l’ultimo progetto di Francesco Vezzoli. Che surfando sul web, tempo fa, inciampò in un’immagine della piccola chiesa cadente di Montegiordano, a pochi chilometri da Cosenza. Scoperto che apparteneva a un privato – probabilmente non interessato a tenerla o non in condizioni di restaurarla – decise di acquistarla. E di includerla nel percorso della restrospettiva nomade, attualmante in corso, battezzata “La Trinità”: quindici anni di carriera, declinati attraverso tre concetti chiave, in tre grandi musei del mondo. Atre, Religione e Glamour, rispettivamente al Maxxi di Roma, al Ps1 di Nyc e al MoCA di Los Angeles.
“L’arte è sicuramente una religione“, ha spiegato Vezzoli. “Non si può negare che le persone che credono nell’arte credono in qualcosa che non si vede”. Qualcosa che va oltre l’opera, certamente, e che fa dell’arte stessa un’avventura spesa lungo il solco tra visibile e invisibile. E allora, sull’onda di questo parallelo tra arte e religione, prende corpo l’incredibile progetto che collega l’Italia agli USA: demolita, frammentata e caricata su una nave, l’architettura approderà a New York per essere ricostruita, tornando a vivere nel cortile de Museo. Non sono mancate, però, critiche e indignazione. Gli abitanti del luogo, in particolare, non l’hanno presa bene: una specie di esproprio, una violenza al paesaggio urbano, una sottrazione dalla sfera dei ricordi collettivi.
Così, sotto la notizia pubblicata su un blog locale, si pescano commenti di questo tenore: “Quella chiesa è stata costruita da i nostri antenati, contadini anche loro che con il proprio sudore hanno messo mattone su mattone per dar vita a quella che sarà la nostra festa più antica, sorta proprio nel punto in cui nacque il primo vero nucleo Montegiordanese”. Edificata in onore della Madonna del Carmine, santa patrona del paese, l’architettura diventa così, agli occhi di molti, l’oggetto di un saccheggio avallato dell’arte contemporanea. Chi se le prende con i proprietari, chi con i cittadini incapaci pure di lanciare una raccolte firme, chi con la Pro Loco, chi con le amministrazioni. E però c’è anche chi, tra i montegiordanesi, non nasconde la sua gioia: “L’affascinante vecchia chiesetta della Madonna del Carmine al MoMa! Fino a ieri le facevano compagnia la nostra splendida macchia, le viscere del canale e qualche ramingo suo fan (tra cui io…) e tra un po’ sbarcherà al MoMa… Incredibile, mai avrei potuto immaginare una cosa più sorprendente! Che dire, per me è una splendida notizia! “. Vezzoli ringrazia e i newyorchesi pure.
– Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati