Le archeologie contemporanee di Tony Fiorentino di scena a Bergamo: nuova tappa del progetto contemporary locus, che svela spazi inusuali della città attraverso l’arte. Oggi tocca alla domus romana di Lucina
Contemporary sta, va da sé, come vessillo per la più stringente attualità: catalogo di nomi nuovi quando non nuovissimi; oppure già noti – è stato il caso, pochi mesi fa, di Grazia Toderi – purché determinati a mettersi in gioco legandosi in modo viscerale ad un contesto carico di storica. Da qui locus, evocativo rimando […]
Contemporary sta, va da sé, come vessillo per la più stringente attualità: catalogo di nomi nuovi quando non nuovissimi; oppure già noti – è stato il caso, pochi mesi fa, di Grazia Toderi – purché determinati a mettersi in gioco legandosi in modo viscerale ad un contesto carico di storica. Da qui locus, evocativo rimando ad un tessuto urbano e culturale fortemente radicato e stratificato, sedimentato nel tempo, nelle opere e nelle pratiche. Contemporary locus è, a Bergamo, un progetto in fase di costante implementazione che svela attraverso l’arte contemporanea angoli inconsueti della città, spazi storicizzati da reinterpretare e reinventare. Ultimo intervento in ordine di tempo quello di Tony Fiorentino, che entra a Casa Angelini, custode della domus romana di Lucina. Aggirandosi tra lacerti costruiti a partire dal I secolo avanti; poi obliati, integrati, inglobati dalle case e i palazzi che si alzano, nella Città Alta, lungo via Arena. Toponimo fin troppo significativo.
Trasformazioni urbanistiche ed edilizie, trasformazioni funzionali ed emotive; fluire incontrollato di un tempo che mescola costantemente le carte in tavola. Barando e fingendo. È dunque sull’idea di manipolazione che Fiorentino imposta i suoi lavori, frutto di un calendario di micro-residenze, cucendo una trama narrativa che occupa i diversi angoli della domus, giocando con i pezzi di una eccentrica ed eclettica collezione – che conta, tra l’altro, su una spettacolare parata di cavalli di legno. Si parte dalle colature alchemiche di metalli pesanti, che immerse in una soluzione acquosa assumono porosità che fingono biologia; e si arriva – in omaggio alla natura “archeologica” della location – a minuscole zanne scolpite in marmo, nella calligrafica simulazione dell’avorio. Nei sotterranei di Casa Angelini, dove si conservano gli scarni resti della domus, un gioco di luci creato ad hoc sottolinea linee poetiche cariche di forza empatica; un angolo, quasi una nicchia, accoglie la proiezione di una candela che si consuma un frame alla volta, quasi implodendo. Non c’è fiamma. La candela è fatta di ghiaccio e dunque si scioglie, in un cortocircuito chimico-fisico.
– Francesco Sala
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