Lido Updates: il caso Locke, una folgorazione. Delude oltre ogni misura l’ultimo Terry Gilliam, ma a sollevare la tensione ci pensa il britannico Steven Knight
Dopo una domenica piuttosto deludente con un film sconclusionato sui momenti post assassinio Kennedy (Peter Landesman), un greco cinico e funereo (Alexandros Avranas) e aver bucato l’unica opera degna di interesse, almeno secondo l’opinione generale (Tom a la ferme del ventitreenne Xavier Dolan), dove l’unico brivido è stato l’arrivo di Harry Potter ormai in pensione…, […]
Dopo una domenica piuttosto deludente con un film sconclusionato sui momenti post assassinio Kennedy (Peter Landesman), un greco cinico e funereo (Alexandros Avranas) e aver bucato l’unica opera degna di interesse, almeno secondo l’opinione generale (Tom a la ferme del ventitreenne Xavier Dolan), dove l’unico brivido è stato l’arrivo di Harry Potter ormai in pensione…, il lunedì si apre con una vera sorpresa, in una sala semivuota per i bagordi del fine settimana. Locke, inspiegabilmente fuori concorso. Fatto ancora meno comprensibile quando la proiezione successiva, firmata Gilliam (The Zero Theorem) era di una bruttezza ai limiti della tollerabilità, una di quelle “robe” che creano grandi esodi verso le uscite dopo i primi trenta minuti oppure un torpore irreversibile, talvolta accompagnato da borborigmi alcool conseguenti o fastidiosi russamenti apneici. Peccato che per la legge sulla privacy non possiamo portarne una testimonianza fotografica.
Tornando a Locke si tratta di una vera folgorazione. È il secondo film del regista e sceneggiatore britannico Steven Knight (già candidato all’Oscar con La promessa dell’assassino e Dirty Pretty Things). Si basa su una sceneggiatura originale ed è prodotto da Paul Webster (anche lui candidato all’Oscar con Anna Karenina, Salmon Fishing In The Yemen, La promessa dell’assassino, Espiazione). Produttore esecutivo Joe Wright. Unico attore Tom Hardy (Inception, The Dark Knight Rises), visto l’anno scorso in concorso a Cannes con Lawless di John Hillcoat, che qui si conferma interprete di straordinarie capacità. È lui l’Ivan Locke del titolo. Un uomo che per novanta minuti (il tempo del racconto coincide con quello reale) guida in una corsa contro il tempo per essere coerente a se stesso. Dunque l’unica cosa che si vede è il suo volto nell’auto, una specie di time capsule, un luogo della coscienza, e le luci di una grande strada che potrebbe essere ovunque nel mondo.
Tutto il film è giocato su questo personaggio che interagisce con se stesso, coi suoi demoni, i suoi sensi di colpa e le sue frustrazioni, cercando con ogni forza di essere migliore. Ha una moglie che ama, dei buoni figli, un lavoro che gli piace, ma in una sera di 9 mesi prima, per puro caso, mette incinta una sconosciuta. Ora la donna sta per partorire. Locke il giorno dopo ha da svolgere il compito più importante della sua carriera. Ma non può lasciare sola quella donna. Dopotutto il figlio è suo e lui non vuole essere come il padre. Locke ha già riscattato il suo nome. Rispettato sul lavoro e dagli amici riesce a dirigere tutto dalla sua auto, tranquillizzando la moglie, i figli, il capo, la società che gli ha affidato un lavoro multimilionario, la donna sconosciuta che sta per partorire. È un uomo fiero e coraggioso, che cerca di affrontare nel migliore dei modi i suoi limiti. E ci riesce.
È la storia di una scelta difficile fatta con coscienza, degli errori e delle conseguenze che affrontate in modo onesto rendono il mondo un luogo migliore. Un film pieno d’amore e di speranza che parla una lingua semplice, schietta e consistente e che per questo conquista lo spettatore. Che si riconosce in quell’uomo e che tante volte sarebbe voluto essere come lui…
– Federica Polidoro
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