Pollock e non solo a Milano: fotogallery e video dalla preview della mostra che a Palazzo Reale racconta la stagione dell’espressionismo astratto. Con il padre del dripping e gli “irascibili” Rothko, de Kooning, Francis…
Non usa parole a caso Luca Beatrice quando cita il termine hipster: ripulendo il concetto dall’irritante patina di pantaloni con il risvolto alle caviglie, instagrammer compulsivi, baffi, brillantina e biciclette a scatto fisso. Riportando il calendario al secondo dopoguerra, affermando con orgoglio che “Jackson Pollock è il primo hipster”: icona della stagione dell’esistenzialismo all’americana, della […]
![Pollock e non solo a Milano: fotogallery e video dalla preview della mostra che a Palazzo Reale racconta la stagione dell’espressionismo astratto. Con il padre del dripping e gli “irascibili” Rothko, de Kooning, Francis…](https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2013/09/IMG_5610-533x800.jpg)
Non usa parole a caso Luca Beatrice quando cita il termine hipster: ripulendo il concetto dall’irritante patina di pantaloni con il risvolto alle caviglie, instagrammer compulsivi, baffi, brillantina e biciclette a scatto fisso. Riportando il calendario al secondo dopoguerra, affermando con orgoglio che “Jackson Pollock è il primo hipster”: icona della stagione dell’esistenzialismo all’americana, della scoperta del jazz, dell’esplosione del fenomeno della beat generation.
Una stagione celebrata a Palazzo Reale dalla mostra che lo stesso Beatrice cura insieme a Carter Foster: arriva dalla collezione del Whitney la cinquantina di pezzi che documentano l’evoluzione della poetica dello stesso Pollock e arrivano a saggiare l’intera scena della New York agli albori degli Anni Cinquanta. A fronte di una mostra che nel titolo spende il grande nome è facile sentire odore di furberia: troppe volte del purosangue trovi appena un’ombra, magari nemmeno significativa, e il resto dell’allestimento va via con i minori, i seguaci, i parallelismi ingenerosi. Di autografi di Pollock, a Milano, ce ne sono giusto una decina: ma tutt’altro che pezzi di serie B, come dimostra il Number 27 del 1950. Ad accompagnarli una selezione da greatest hits, che spazia da tele del Rothko primi Anni Cinquanta a un excursus su de Kooning; da Newman e Gorky fino a Sam Francis, Robert Motherwell ed Helen Frankenthaler.
– Francesco Sala
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