Tra Bacon e Caravaggio: nuova performance di Luigi Presicce alla Galleria Bianconi di Milano. Un complesso tableau vivant che media la leggenda della Vera Croce e l’universo magico di Gustavo Rol
Enigmatico, mesmerico. A tratti sulfureo. Insomma: Luigi Presicce. Che mette in scena a Milano, nel seminterrato della Galleria Bianconi, un nuovo tableau vivant tra quelli ideati per comporre il complesso teatro dell’immagine che racconta Le storie della Vera Croce. Un progetto che cresce come il vino buono: nel silenzio di una cantina, protetto dalle voci […]
Enigmatico, mesmerico. A tratti sulfureo. Insomma: Luigi Presicce. Che mette in scena a Milano, nel seminterrato della Galleria Bianconi, un nuovo tableau vivant tra quelli ideati per comporre il complesso teatro dell’immagine che racconta Le storie della Vera Croce. Un progetto che cresce come il vino buono: nel silenzio di una cantina, protetto dalle voci e dalle luci, distillato in un tempo dilatato allo spasimo. Goccia dopo goccia.
Primo effetto di straniamento all’ingresso solitario in galleria, ovattata camera di pressurizzazione dei sensi che prelude all’esperienza peer-to-peer. Mentre fuori l’attesa cresce, la fila si allunga. Strettissima e ripida la scala che porta all’antro dell’artista, ispida discesa carica di aspettative, scorcio che vedresti bene in un film di David Lynch. Tre attori in costume barocco, raggelati in pose plastiche sottolineate da fari densissimi, chiaramente caravaggeschi; la nota lunga, ripetuta con placida ossessione, di una viola da gamba. C’è Saulo, così come lo ha visto Merisi oltre quattro secoli fa, divelto da un cavallo invisibile e schiacciato a terra dall’equilibrio impossibile di una trave in legno. E c’è il portiere dello stabile abitato da Gustavo Rol, vanga in mano, ai bordi di quello scavo che evoca l’oscuro rinvenimento, da parte del sensitivo, di un busto di Napoleone. C’è, infine, il musico: una candela legata al piede nudo, nella stessa posa che Francis Bacon ha voluto per il modello del suo Painting del 1978, con il disperato soggetto che prova ad aprire una porta reggendo la chiave tra alluce e secondo dito.
Il legno è quello della croce, quella Vera svelata o inventata da Elena. Sant’Elena, come l’isola dell’esilio di Bonaparte, sublime e misteriosa analogia cristologica che mescola sacro e profano, in una sofisticata sovrapposizione di rimandi, omaggi, ispirazioni; calembour visivo che affascina e insieme stordisce, coinvolge e seduce.
– Francesco Sala
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