Amsterdam festeggia quattro secoli di canali: venti abitazioni e istituzioni private diventano galleria diffusa per una mostra da scoprire casa per casa. Con le opere di Fiona Tan, Marlene Dumas, William Monk…
È un rapporto di luci ed ombre quello che Amsterdam intrattiene, da sempre, con il concetto di tolleranza. Perché la città che ha abbracciato centomila ugonotti in fuga dalla Francia – siamo a fine Seicento – è la stessa che ha vissuto con colpevole omertà, solo settant’anni fa, la deportazione di due terzi della sua […]
È un rapporto di luci ed ombre quello che Amsterdam intrattiene, da sempre, con il concetto di tolleranza. Perché la città che ha abbracciato centomila ugonotti in fuga dalla Francia – siamo a fine Seicento – è la stessa che ha vissuto con colpevole omertà, solo settant’anni fa, la deportazione di due terzi della sua radicata comunità ebraica; il palcoscenico di quello che oggi ci appare come modernissimo e felice meltin-pot culturale è il medesimo su cui è andata in scena, con l’Olanda ultima tra le grandi potenze occidentali, l’abolizione formale della schiavitù nelle colonie. Tema caldo, anzi caldissimo quello dell’accoglienza per una società attraversata da vecchi rancori e nuove tensioni (il 2 novembre sono nove anni esatti dall’omicidio di Theo Van Gogh, vittima dell’estremismo religioso); tema da affrontare grazie al linguaggio della contemporaneità.
Sono venti le abitazioni private e le sedi di istituzioni amministrative e culturali connesse nella rete di The Tolerant Home, mostra diffusa da scoprire passeggiando lungo i celebri canali. Suonando campanelli, entrando in austeri saloni secenteschi e barcollanti case galleggianti, violando con complice gentilezza l’intimità di spazi che si aprono al pubblico generosi: nell’offerta di nuovi sguardi su Amsterdam e sul mondo, paesaggi del cuore e dell’anima immaginati e sognati, vissuti e sublimati. Un viaggio dolcissimo, indotto dalla ricorrenza del quarto centenario dalla imponente opera di ammodernamento della città cui si deve la creazione della rete di canali che tanta parte gioca in termini di fascino ed atmosfera.
Un progetto che trasmette calore. E che non poteva dunque essere condotto da chi non ha confidenza – o meglio affiatamento – con la città. Sono nati e ci hanno vissuto, oppure ci si sono trasferiti per studiare, imparare, formarsi e crescere i trentacinque artisti eletti a ospiti privilegiati di Amsterdam. Si parte dal pathos degli interni colti da Fiona Tan, fotografie di stanze abbandonate in fretta e furia dove permane, nell’estetico disordine di pochi poveri oggetti, l’essenza di presenze effimere eppure massicce, grevi, quasi tangibili; e si arriva alle sovrapposizioni cartografiche con cui Gert Jan Kocken costruisce, nella miscela di mappe usate da nazisti, alleati e partigiani, una distrofica memoria collettiva. In mezzo gli iperrealismi grafici di David Haines e gli acquarelli di William Monk; il crudissimo erotismo colto da Marlene Dumas nel quartiere a luci rosse e i ritratti trangender di Julika Rudelius; il recentissimo reportage d’artista con cui David Claerbout documenta la vita degli operai che servono le grandi compagnie petrolifere in Nigeria e la raffinatissima indagine che Erik Van Der Wejide dedica alla natura residuale, con il suo catalogo di alberi cresciuti tra guardrail e muri di cinta. Strenui ed eroici.
– Francesco Sala
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