I servizi pubblici negli Usa si fermano? E i musei chiudono. Dalla National Gallery alla Statua della Libertà, ecco le attrazioni che rischiano la serrata a causa dell’irrimediabile shutdown degli Stati Uniti
Chi l’avrebbe mai detto: quella che siamo abituati a considerare come la prima potenza mondiale costretta ad una sfiancante e suicida guerra tra poveri. Barack Obama difende l’ormai celebre riforma del sistema sanitario – da oggi gratuito per 34milioni di indigenti – finanziata anche grazie al sacrificio di circa 800mila stipendi del pubblico impiego; i […]
Chi l’avrebbe mai detto: quella che siamo abituati a considerare come la prima potenza mondiale costretta ad una sfiancante e suicida guerra tra poveri. Barack Obama difende l’ormai celebre riforma del sistema sanitario – da oggi gratuito per 34milioni di indigenti – finanziata anche grazie al sacrificio di circa 800mila stipendi del pubblico impiego; i deputati Repubblicani, che contro quella manovra hanno alzato le barricate, si rifiutano di alzare la mano e approvare i correttivi fiscali per provare a salvare, comunque non senza traumi, capra e cavoli. Arriva il rifiuto di alzare la quota di indebitamento dello Stato, oggi fissata a quasi 17miliardi di dollari: niente più deroghe o proroghe, con il muro contro muro a produrre quello che, almeno formalmente, equivale al fallimento. Siamo allo shutdown: niente soldi per tenere in piedi, nella sua complessità, l’intera macchina pubblica. E così si taglia qua e là, provando a fare cassa in attesa di tempi migliori: era durato in totale 28 giorni il blackout dei finanziamenti che a più riprese, tra dicembre 1995 e gennaio 1996, aveva messo in difficoltà l’amministrazione Clinton, ultima in ordine di tempo a misurarsi con una analoga situazione di deficit. Ancora una volta agevolata da quello che suona come un ricatto da parte dei Repubblicani, sulle cui spalle ricade oggi il peso di una scelta politica aggravata in maniera esponenziale dalle contingenze della crisi globale. Una mossa che la stampa d’Oltreoceano già sembra considerare, anche alla luce del feedback dell’opinione pubblica, in modo negativo.
Considerato che il Pentagono non può tirare giù la serranda e i cosmonauti spediti in orbita dalla Nasa non possono essere abbandonati a se stessi la crisi va a colpire i settori meno strategici. Tra i quali non poteva mancare la cultura. “Dobbiamo chiudere, ai dipendenti federali non è concesso di lavorare” così a USA Today Linda St.Thomas, responsabile della comunicazione per lo Smithsonian, che vede la serrate delle diciannove diverse istituzioni di cui si occupa. Niente più National Gallery a Washington, con le prime stime che parlano della cancellazione di almeno 400mila delle visite programmate da qui alle prossime settimane. La sparizione di quasi mezzo milione di turisti comporta una perdita incalcolabile per l’indotto, con catastrofici effetti depressivi su più comparti: nella speranza non si tocchi l’emorragia che, in occasione dello shutdown del ’96 aveva visto volatilizzarsi sette milioni di visitatori.
Ma la scure dei tagli si abbatte anche sui 368 siti gestiti dal National Park Service, con il rischio di mietere vittime eccellentissime. Partendo dallo Yosemite Park e arrivando al mitico monte Rushmore; ma soprattutto alla Statua della Libertà: che al momento resta visitabile, ma rischia davvero grosso. La fotografia più efficace del momento sta forse nel Tweet con cui lo staff del National Zoo di Washington annuncia lo spegnimento delle web-cam che spedivano in rete, in tempo reale, cuccioli e bestie varie. Un blackout immediato. La cui durata viaggia nell’ad libitum…
– Francesco Sala
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