Biennale di Venezia finissage live. L’arte è ancora una nazione straniera: fra musei e biennali, grandi personaggi per l’ultima tavola rotonda di Meetings on Art, qui il racconto e le immagini
“Immaginate di essere in auto e viaggiare tra due bei paesini in un’affascinante terra costiera. A intervalli regolari pietre miliari scandiscono il percorso. Non sono scritti numeri crescenti, ma parole: risk (rischio), audience (pubblico), context (contesto), evaluation (giudizio). Un villaggio si chiama Museo e l’altro Biennale. E le scritte possono essere lette in modo diverso […]
“Immaginate di essere in auto e viaggiare tra due bei paesini in un’affascinante terra costiera. A intervalli regolari pietre miliari scandiscono il percorso. Non sono scritti numeri crescenti, ma parole: risk (rischio), audience (pubblico), context (contesto), evaluation (giudizio). Un villaggio si chiama Museo e l’altro Biennale. E le scritte possono essere lette in modo diverso se l’auto corre nella carreggiata verso Museo o verso Biennale. Ma ad ogni modo, quando il viaggio è finito, è tempo per un bicchiere di vino”. È questa metafora immediata e intensa, costruita da Alfredo Cramerotti, a rendere perfettamente l’immagine dell’ultimo evento biennalesco che s’interroga su ruoli e spazi d’azione di biennali e musei, oggi.
Nell’ultimo e più importante panel di Meetings on Art presentato dal Presidente Paolo Baratta si sono sentite le voci di curatori di biennale come Achille Bonito Oliva, Bice Curiger e Massimiliano Gioni (in veste di moderatore), e di direttori di musei come Vicente Todolí e Cristiana Collu. Poi figure poco scontate, da Abdellah Karroum, Direttore del Mathaf – Arab Museum of Modern Art di Doha, ad – appunto – Cramerotti, direttore del Mostyn in Galles, ma anche co-curatore del Padiglione del Galles, e del Padiglione Maldive. Proprio su queste due figure più giovani e agili ha puntato l’attenzione. Peccato che Abdellah Karroum, curatore dell’evento collaterale di Dora Garcia alla Giudecca con la Prince Pierre of Monaco Foundation, e delle Biennali di Marrakech e del Benin, abbia dovuto lasciare in tutta fretta il palco per correre in aeroporto.
Uno spunto interessante lo dà anche Bice Curiger: se sfogliamo una rivista d’arte contemporanea, la sensazione è che esista solo quella, quanto era prima, non c’è. “The past is still a foreign country” (l’arte è ancora una nazione straniera) è il titolone dell’Art Newspaper che Curiger proietta sullo schermo. Lei invece propone visioni comuni, guardare alle affinità: tra epoche (come nelle sue mostre Deftig Baroque alla Kunsthaus Zurich e Riotous Baroque. From Cattelan to Zurbarán, co-prodotto con Guggenheim di Bilbao), e tra “strange ousiders and old masters”. Come ha fatto il Palazzo enciclopedico che, dopo sei mesi affollati, ha appena chiuso le porte al pubblico lasciando tanti stimoli e tante opportunità di riflessione. Del resto “la formazione del pubblico” è stata definita da Baratta come l’obbiettivo più importante raggiunto.
Ora un viaggio verso il “villaggio Biennale”, come lo definisce Cramerotti, è finito ed è tempo per uno shot: questa sera party a Cà Giustinian. Questa volta non dedicato ai vip, ma per tutti quelli che hanno lavorato “dentro” la Biennale. E noi ci saremo.
– Mariella Rossi
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