In Italia il presidente del principale museo d’arte contemporanea nazionale guadagna la metà di un rettore di università. E qualcuno fa anche polemica. Ancora sulla Melandri al Maxxi
Ha attuato una spending review interna piuttosto coraggiosa; ha impostato una selezione per il nuovo direttore riuscendo a nominare una persona inattaccabile, almeno sulla carta, come Hou Hanru; ha convinto il Ministro dei Beni Culturali – pur non essendo affatto lo stesso ministro che l’aveva nominata – a mettere in sicurezza il museo per legge: […]
Ha attuato una spending review interna piuttosto coraggiosa; ha impostato una selezione per il nuovo direttore riuscendo a nominare una persona inattaccabile, almeno sulla carta, come Hou Hanru; ha convinto il Ministro dei Beni Culturali – pur non essendo affatto lo stesso ministro che l’aveva nominata – a mettere in sicurezza il museo per legge: ogni anno 5 milioni saranno garantiti dal governo, e il tutto nel momento peggiore per le finanze pubbliche. Ha iniziato a promuovere a livello internazionale l’istituzione soprattutto sfruttando origini e agganci americani; ha innestato una serie di iniziative di comunicazione e promozionali discusse e magari discutibili, ma indispensabili per fare del museo un soggetto presente e attivo sul palcoscenico dell’intrattenimento culturale della città e non solo. Ma soprattutto presiede in questo momento un museo che ospita e ha ospitato mostre assolutamente all’altezza come quella di Jan Fabre o quella di Francesco Vezzoli.
Il lavoro di Giovanna Melandri è dunque ottimale? Dobbiamo essere contenti così? Assolutamente no: soddisfatti non bisogna essere mai e tutto è migliorabile. C’è un enorme lavoro da fare sul rapporto con gli altri musei internazionali (con cui bisogna co-produrre, nel cui network occorre entrare stabilmente), c’è una profonda revisione da attuare nell’offerta aggiuntiva che superi la fallimentare gestione di ristorazione e libreria dovunque asset fondamentali per strutture museali e al Maxxi scadenti e fastidiosi orpelli che mortificano le potenzialità di un luogo che potrebbe essere una piazza culturale di caratura europea.
Tuttavia è terribilmente sciocco dover ancora ascoltare polemiche per uno stipendio da 3mila e 500 euro netti al mese (grosso modo come un preside di scuola superiore) che appaiono ampiamente guadagnati per un lavoro che è totalizzante e che non si può di certo svolgere nei ritagli di tempo ricavati da altri incarichi remunerati. Certo, sarebbe stato meglio che nel 2012, quando venne nominata, la Melandri non avesse sbandierato ai quattro venti “lavoro gratis” (ma già all’epoca disse che non era d’accordo con la norma che tagliava gli emolumenti ai presidenti delle fondazioni pubbliche) e avesse invece specificato “lavoro gratis il primo anno”. Tuttavia ora l’auspicio è che la presidente della Fondazione Maxxi si guadagni anche i premi di produzione: significherebbe che ha fatto bene a vantaggio di una istituzione che è cruciale per la leadership culturale del nostro paese.
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