Quando l’artista è un pubblicitario, o viceversa! Francesco Bonami racconta alla Galleria Campari la storia di un rapporto iconografico complesso, partendo da Nespolo e Depero ed arrivando a Jeff Koons e Paola Pivi
Prendi una stucchevole cartolina kitsch. La spogli del suo valore linguistico originale e la carichi di un significato altro. Tutto tuo. Originale. Traduci quell’immagine in una serie di sculture: che vendi a peso d’oro – del resto ti chiami Jeff Koons. Poi arriva lui, tale Art Rogers, fotografo che ha partorito con ben altri intenti quella […]
Prendi una stucchevole cartolina kitsch. La spogli del suo valore linguistico originale e la carichi di un significato altro. Tutto tuo. Originale. Traduci quell’immagine in una serie di sculture: che vendi a peso d’oro – del resto ti chiami Jeff Koons. Poi arriva lui, tale Art Rogers, fotografo che ha partorito con ben altri intenti quella vecchia cartolina. Reclama la sua parte e, più o meno incredibilmente, il tribunale gliela da vinta. E tu paghi. Parte con un caso limite, vecchio di vent’anni, la chiacchierata che Francesco Bonami conduce nella Galleria Campari di Sesto San Giovanni, al piano zero di quel centro direzionale disegnato da Mario Botta a reiterare il mito dell’hinterland operaio di Milano. Tema: il rapporto sottile e delicato tra arte e pubblicità, dunque tra artista e pubblicitario. Svolgimento: un’infornata di aneddoti che pone più interrogativi di quanti non riesca a scioglierne. Dimostrando così, in modo voluto, quanto la materia sia soggetta fraintendimenti, dibattiti e variazioni sul sacro e inviolabile tema dell’auctoritas. Del confine tra plagio e ispirazione, lecito e illecito: con il caso Koons a cui fa eco quello “al contrario” che ha visto protagonista Paola Pivi, sul piede di guerra contro il network che per uno spot ha usato zebre tanto, troppo simili alle sue.
Tutto ruota sul tema della riconoscibilità, dell’identificazione. Del brand insomma. All’ombra della spettacolare gigantografia della Milano disegnata da Ugo Nespolo per Campari, a fianco della mostra con le grafiche originali per i poster di Fortunato Depero si alternano piccole storie più o meno note, più o meno curiose. Dal Maurizio Cattelan che vende il proprio spazio alla Biennale del ’93 ad una ditta di cosmetici perché questa porti la sua cartellonistica fino a Richard Prince che scippa il mitico cowboy della Marlboro; passando per i poster M&M’s in stile Spot Paintingsalla Damien Hirst. Fino alla pura e libera associazione di idee, a un gioco delle coppie che porta il Tomato Head di Paul McCarthy tra gli scaffali Esselunga e le statue di Thomas Schütte dal gommista. Perché anche là dove il legame non è voluto e diretto, l’effetto su un pubblico drogato di comunicazione sortisce incontrollabili collegamenti, effetti subliminali di intrigante fluidità.
– Francesco Sala
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