Torino Updates: Israele e Palestina divisi anche a tavola. Ruota attorno al falafel la performance gastronomica che Filippo Riniolo porta a The Others, con la stessa pietanza servita in confezioni diverse e ultra-nazionaliste. Chi la spunta?
Considerato che Mosè li ha portati nell’unico posto del Medio Oriente senza petrolio (la battuta è di Woody Allen, non siamo così brillanti!), è in fondo logico che tra i termini delle rivendicazioni dello Stato di Israele ci siano anche voci apparentemente poco nobili. Quasi minime. Come i ben noti falafel, polpette di legumi assortiti […]
Considerato che Mosè li ha portati nell’unico posto del Medio Oriente senza petrolio (la battuta è di Woody Allen, non siamo così brillanti!), è in fondo logico che tra i termini delle rivendicazioni dello Stato di Israele ci siano anche voci apparentemente poco nobili. Quasi minime. Come i ben noti falafel, polpette di legumi assortiti – la variante più diffusa reclama la dominanza dei ceci, ma anche fave e fagioli sono ben accetti – diffuse in modo uniforme in tutta l’area del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico. Piatto tanto povero quanto straordinariamente gustoso, eredità di un passato che si perde nella notte dei tempi. E diventa dunque, come tutto ciò che vaga nel leggendario, terreno di conquista. Già: perché i falafel li cucinano divinamente sia arabi che israeliani. Ed entrambi ne reclamano la paternità in veste di delizia nazionale. Scontro da bar, facezia che strappa lo stesso sorriso delle più esacerbate beghe tra campanili; episodio minuscolo, tessera di un mosaico però tremendamente ampio, che restituisce l’immagine di un braccio di ferro atavico, irrisolto e irrisolvibile. Parte da questa “disfida della polpetta” la performance gastronomica che Filippo Riniolo porta a The Others, riflessione leggera – ma non troppo – sulla follia dell’incomprensione. Due tavoli, lo stesso numero di falafel, identici in tutto e per tutto. Tranne che per la confezione: una metà è riposta in una confezione che riporta la bandiera di Israele, l’altra trova spazio in una scatola timbrata con i colori della Palestina.
Il pubblico è libero di servirsi liberamente, senza vincoli o limitazioni, suggerimenti o indicazioni: è un amaro sapore d’odio o un dolciastro aroma di pace? A margine dell’azione, limpida e chiara, resta materiale da moviola per l’indagine di sociologi e politologi. Perché a finire per primi sono gli scatolini con la stella di David: nettamente più appetiti. Perché?
Secondo Giovanni Gaggia, che in veste di ideatore di Sponge ArteContemporanea ha prodotto l’azione, si tratta di una pura questione subliminale legata al design delle bandiere: più minaccioso quello palestinese, con la banda nera a incutere implicito sospetto; più ammiccante ed elegante quello israeliano. Teoria interessante ma insieme pericolosissima: se due popoli litigano per una polpetta, figuriamoci cosa possono fare per il riconoscimento di quale sia la bandiera più bella…
– Francesco Sala
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