Case-museo 2.0: nasce dal laboratorio di boîte “Interno domestico”, censimento esperienziale di quarant’anni di mostre in abitazione. In un unico libro la Berna di Szeemann e gli spazi global di Lucie Fontaine
A meno di non chiamarsi Linneo arriva un momento in cui è necessario scrivere la parola fine. Mettere il punto fermo, posare la penna sul tavolo – premere l’off del laptop – concedersi un sano chi c’è c’è e gli altri ciccia. Premessa indispensabile per accostarsi a Interno domestico, indagine complessa e articolata nata nella […]
A meno di non chiamarsi Linneo arriva un momento in cui è necessario scrivere la parola fine. Mettere il punto fermo, posare la penna sul tavolo – premere l’off del laptop – concedersi un sano chi c’è c’è e gli altri ciccia. Premessa indispensabile per accostarsi a Interno domestico, indagine complessa e articolata nata nella cucina di boîte, la rivista in scatola, e uscita dopo lunga gestazione per i tipi di Fortino Editions. L’obiettivo è quello di raccontare una quarantina d’anni di mostre in appartamento: impresa titanica che non può ambire all’esaustività, da qui l’avvertenza a non scatenarsi nello stucchevole esercizio di chi ne sa di più, sciorinando cataloghi di imperdibili appuntamenti sul pianerottolo dell’amico imbrattatele. Le enciclopedie sono un’altra cosa: qui si tratta di un viaggio. E come tale si incociano le tappe ineludibili, ma anche le piste meno battute; ci si perde nel racconto e nel ricordo, con le informazioni che si arricchiscono del filtro di una soggettività diffusa e condivisa. Ci sono gli appunti che Federica Boràgina e Giulia Brivio, anime del progetto, hanno raccolto vagolando su e giù per lo Stivale; e ci sono gli scritti d’artista: con Cesare Pietroiusti che ricorda Visite (era la metà degli Anni Ottanta e organizzava incontri dai vicini di casa delle gallerie dove esponeva) e Mattia Pellegrini a spiegare cosa è successo negli ultimi anni in quella Stanza in via Sannio, a Roma.
La presentazione milanese di Interno domestico non poteva avvenire altrove se non in una casa dedicata all’arte: Spazio Morris, ovviamente censito nelle pagine di un volume che si muove tra le atmosfere global di Lucie Fontaine (splittato a Tokyo, Milano, Parigi) e quelle orgogliosamente ruspanti della Casa Sponge di Giovanni Gaggia. Il tutto senza scordare uno sguardo analitico sul passato, sull’evoluzione di un fenomeno che viene circostanziato con acume e chiarezza, senza inutili sofismi. Si torna così indietro agli Anni Settanta, ad Harald Szeemann che trasforma la casa bernese del nonno in improvvisata galleria; e poi via a Gand, dove nel 1986 si genera il circuito itinerante delle Chambres d’Amis, con l’arte portata – letteralmente casa per casa – dai vari Gilberto Zorio e Joseph Kosuth, Sol LeWitt e Mario Merz, Luciano Fabro e Christian Boltanski.
– Francesco Sala
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