Ecco come è stato il 2013 del design. Piccolo e scanzonato bilancio di mostre, eventi, tendenze. Su cosa mettere il like e cosa cestinare?
Fine dell’anno, tempo di bilanci: si riprende in esame quello che ha funzionato, ciò che poteva dare risultati e quello che invece proprio non è andato. Se osserviamo il 2013 ripercorrendo i principali eventi e le tendenze di design, che cosa salviamo e cosa invece preferiamo bocciare? Senza puntare il dito contro singoli prodotti o […]
Fine dell’anno, tempo di bilanci: si riprende in esame quello che ha funzionato, ciò che poteva dare risultati e quello che invece proprio non è andato. Se osserviamo il 2013 ripercorrendo i principali eventi e le tendenze di design, che cosa salviamo e cosa invece preferiamo bocciare? Senza puntare il dito contro singoli prodotti o progettisti, che da soli non sono indicativi per stilare una valutazione complessiva dell’anno, ci limitiamo ad esaminare i fenomeni di più ampio respiro.
Partiamo dalla discussa autoproduzione e il proliferante caso dei makers che promuoviamo, non tanto per la novità in sé – l’autoproduzione in Italia è presente da molti anni -, quanto per la conseguente riscoperta e rinascita delle piccole botteghe artigiane. Il saper fare design in autonomia però, prima che dalle stampanti 3D, andrebbe ricercato nella capacità di progettazione. In poche parole non tutte le persone in grado di usare macchine a controllo numerico possono professarsi designer.
Altro settore a cui troppo spesso viene messa l’etichetta del “design”, senza un reale valore aggiunto, è il food, che ci viene servito ormai in tutte le salse, dai reality alle performance, al product. In una tavola imbandita da aspiranti food designer cosa salviamo? La selezione dei prodotti commestibili fatta da Beppe Finessi per la mostra “Progetto Cibo. La forma del gusto” al Mart di Rovereto è un giusto indirizzo per riconoscere il Good Design.
Parlando di design non possiamo esimerci dal mettere nuovamente a confronto il Salone del Mobile per eccellenza, quello milanese, con le nuove e sempre più numerose design week europee: chi ne esce vincitore? Ancora Milano, vuoi per importanza, vuoi per dimensione o perché la maggior parte delle aziende di design sono proprio italiane, anche se quest’anno la settimana del design meneghina è stata un po’ sottotono.
È stato salutare ammalarsi de “La sindrome dell’influenza”, sesta edizione del Triennale Design Museum, in cui brand Made in Italy e i maestri del design degli anni ‘50 e ‘60 sono interpretati da progettisti contemporanei che ci ricordano che cosa è stato e che cosa è oggi il design in Italia.
Quello che proprio non abbiamo amato è vedere piccole e medie aziende di design cedere sotto la stretta morsa della crisi, diminuire la produzione, ridurre il personale e in alcuni casi essere costrette a chiudere. Unico seme di speranza è stato piantato da Gucci che ha salvato in corner la Richard Ginori a chiusura già annunciata. Ma senza fare affidamento a provvidenziali benefattori riusciremo nel 2014 a non dover associare la parola crisi al design?
Perché non possiamo tralasciare nemmeno i sempre più numerosi laureati in design costretti a emigrare o a fare stage poco remunerati se non gratuiti. Per il 2014 ci auguriamo di scoprire un design più democratico, sociale, pratico, onesto e accessibile al maggior numero di persone possibili.
– Valia Barriello
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