Bologna Updates: strusciarsi alla cieca addosso a corpi nudi. Quarant’anni dopo Marina Abramović e Ulay ecco la performance di Stefano Scheda a Setup
Non è una novità assoluta in nessun angolo del mondo. A maggior ragione a Bologna, dove lo scandalo è andato in scena la prima volta nel 1977 – sono quasi quarant’anni, un’eternità – negli spazi dell’allora Galleria d’Arte Moderna, poi trasfigurata in MAMBo. All’epoca i performer erano solo due, rispondevano ai nomi di Marina Abramović […]
Non è una novità assoluta in nessun angolo del mondo. A maggior ragione a Bologna, dove lo scandalo è andato in scena la prima volta nel 1977 – sono quasi quarant’anni, un’eternità – negli spazi dell’allora Galleria d’Arte Moderna, poi trasfigurata in MAMBo. All’epoca i performer erano solo due, rispondevano ai nomi di Marina Abramović e Ulay; le nudità erano chiare, limpide, totali: ha fatto epoca la loro Imponderabilia, performance che obbliga il pubblico del museo a sgomitare, infilarsi, strusciare tra i corpi spogliati della coppia, passaggio obbligato per spostarsi da una sala a quell’altra. Compito simile a quello richiesto da Stefano Scheda agli spettatori attivi della sua T(r)atto, azione messa in scena nei corridoi di Setup. Cosa cambia rispetto ad un modello non dichiarato, ma talmente lampante da essere inevitabile termine di paragone? Ad essere diverso è l’approccio, questa volta non solo indotto e al più auspicato, ma fortemente (quasi violentemente) insistito: si perde la casualità e la solitudine di chi era abbandonato all’esclusività del proprio imbarazzo, sostituita da una complicità smaccata e diretta con l’artista. Che benda il suo pubblico e lo guida in una buia selva di corpi: braccia, mani, cosce, piedi accuratamente guantati nei calzini di spugna, terga fasciate di boxer e slip. Perché va bene l’arte e la provocazione, ma ignudi integrali proprio no! Ci si tocca, ci si annusa, si cammina carponi tra gli stinchi altrui, si passeggia nel disorientamento. Ciechi tra ciechi: anche i performer sono bendati, a sospendere la faccenda in una condivisione di imbarazzi; tracciando nuove memorie tattili, riattivando esperienze sensibili che non appartengono a un’epoca che dispensa più poke che abbracci.
– Francesco Sala
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