Ecco le prime foto della straordinaria opera di William Kentridge prevista per i muraglioni del Tevere a Roma. Peccato che la solita mentalità ministeriale e i soliti squallidi funzionari vogliano bloccar tutto
“È destinato a scomparire fisicamente, ma sicuramente rimarrà nella memoria della città per il suo elevato valore simbolico”. Lo ribadiscono con chiarezza, Carlo Gasparrini, Rosario Pavia e Luca Zevi, i soci fondatori – insieme a Kristin Jones – di Tevereterno: Triumphs and Laments, l’opera lunga 550 metri sui muraglioni del Tevere tra ponte Sisto e […]
“È destinato a scomparire fisicamente, ma sicuramente rimarrà nella memoria della città per il suo elevato valore simbolico”. Lo ribadiscono con chiarezza, Carlo Gasparrini, Rosario Pavia e Luca Zevi, i soci fondatori – insieme a Kristin Jones – di Tevereterno: Triumphs and Laments, l’opera lunga 550 metri sui muraglioni del Tevere tra ponte Sisto e ponte Mazzini dal grande William Kentridge, di cui anche Artribune vi ha parlato il mese scorso, è un intervento destinato a scomparire fisicamente, in quanto realizzato attraverso la pulitura selettiva della patina di smog e della pellicola biologica accumulatasi sulle superfici.
E in questa pagina vedete le immagini delle prime prove, test tecnici eseguiti vicino a Ponte Margherita: nessun intervento di pittura o disegno, solo delle figure realizzate asportando un po’ dello sporco presente. “Ma che potrà rappresentare l’evento inaugurale di un processo più strutturato e duraturo di valorizzazione urbana e ambientale del fiume, un primo passo per restituire al Tevere quel ruolo di spazio pubblico e di parco fluviale che ammiriamo in tante città del mondo”, commentano loro.
Ma perché queste precisazioni? Perché da quanto apparso sulla stampa, sembrerebbe che il progetto – appoggiato e incoraggiato da politici e istituzioni capitoline, dal Mibac al Maxxi – potrebbe incontrare ostacoli nella Direzione Regionale per i Beni Culturali del Lazio. E nelle posizioni del sottosegretario alla Cultura, Ilaria Borletti Buitoni, la quale – magari non informata adeguatamente dello specifico del progetto – avrebbe dichiarato al quotidiano che certi “linguaggi culturali potrebbero trovare una loro più felice collocazione in aree cittadine che sposano meglio il contemporaneo, come le periferie”. Omologando, in tal modo, i graffiti ad una visione solo sociologica, con indicazioni “topografiche” smentite da decenni di pratiche artistiche, fra New York, Londra, Berlino, per citare qualche esempio. Attendiamo fiduciosi che le incomprensioni siano appianate, e che Roma si prepari ad ospitare l’intervento pubblico più imponente mai realizzato da un gigante come William Kentridge…
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