Torino, rischio chiusura per il Pav. Tagli alla cultura per tutti, con cessione di immobili ai musei cittadini. Ma il Parco Arte Vivente resta a secco. Parte la petizione on line
Nell’agonia generale dei musei italiani, tra incertezze amministrative, tagli finanziari, cambi di poltrone, asfissie burocratiche e pasticci di bilancio, una nuova vittima si affaccia all’orizzonte. È appeso a un filo il destino del Pav, Parco Arte Vivente, nato cinque anni fa a Torino, con una vocazione speciale per quel mondo della creatività contemporanea legato alle […]
Nell’agonia generale dei musei italiani, tra incertezze amministrative, tagli finanziari, cambi di poltrone, asfissie burocratiche e pasticci di bilancio, una nuova vittima si affaccia all’orizzonte. È appeso a un filo il destino del Pav, Parco Arte Vivente, nato cinque anni fa a Torino, con una vocazione speciale per quel mondo della creatività contemporanea legato alle scienze, alla natura, al paesaggio, alla cultura ecologica. Arte contemporanea, dunque, ma in una chiave insolita e con una specificità didattica notevole.
Oggi, L’Associazione acPav, che ne cura i progetti, lancia un appello in rete, rivolto al Sindaco Fassino: servono le firme di cittadini, artisti, critici, giornalisti d’arte, direttori di Istituzioni culturali italiane ed europee, per sensibilizzare le amministrazioni sulla condizione di gravissima precarietà in cui versa lo spazio. Il nodo della questione? Un ritardo progressivo e perdurante nel rinnovo della Convenzione tra il Pav e gli organi di governo del sistema museale torinese. Si legge nel testo dell’appello: “Lo staff del PAV, anche se ridotto alla metà di quello iniziale per effetto dei progressivi tagli dei finanziamenti, si è riorganizzato raddoppiando gli sforzi, ma la mancanza di una cornice programmatica e istituzionale – una nuova Convenzione appunto – lo depriva di quella prospettiva di stabilità e continuità gestionale che è necessaria ad ogni Istituzione pubblica per svolgere coerentemente la sua missione culturale e sociale”. In sostanza: qualcosa sembra bloccare la consueta stipula degli accordi e questo qualcosa, stando ai tagli inferti nel corso del tempo alla cultura, ha tutta l’aria di anticipare un epilogo infelice.
Eppure il Pav, “grazie ad una virtuosa operazione urbanistica e culturale condotta all’insegna del principio della ‘sussidiarietà democratica’”, in questi anni ha costruito una propria identità forte e ha funzionato come punto di riferimento per appassionati d’arte, professionisti e studenti di tutte le età, coltivando una linea di ricerca indipendente e investendo per la costruzione di una sensibilità e un immaginario forti: arte e natura come straordinario incastro creativo e come opportunità di lettura del mondo, imparando a rispettare l’ambiente, a conoscerlo e a farne luogo di progetto, di elaborazione fantastica, di aggregazione.
Il tutto è legato, ça va sans dire, ad un problema di risorse finanziarie. A San Silvestro la giunta comunale ha infatti annunciato il dimezzamento dei fondi per la cultura. Solo due giorni dopo è arrivato l’annuncio della chiusura invernale del Castello Medievale del Valentino, al fine di trasferire un po’ di personale alla Gam, dove impazza la mostra dedicata a Renoir. La giunta Fassino sta adesso provando a sopperire al deficit con una operazione di tipo immobiliare: alcuni edifici comunali sono stati donati alle principali istituzioni culturali cittadine, per poterli vendere, affittare, ipotecare. Così, ai Musei civici va Palazzo Mazzonis, la sede del Mao, al Museo del Cinema le sale del Massimo, al Teatro Regio l’ex Csea di strada Altessano, alla Fondazione per la cultura uno stabile in corso Galileo Ferraris e al Teatro Stabile l’immobile di via Riberi, sotto la Mole. Tutto risolto? Quando mai. Vanno trovati i compratori (per l’ex Csea è quasi fatta, pare vogliano farci un centro commerciale), oppure vanno trovate le banche disposte a fare dei mutui, prendendo in garanzia gi immobili. Hai detto niente.
E il Pav? Lodato in un recente articolo da Le Monde, come esempio eccellente di resistenza alla crisi, nonché di impegno e di qualità, rischia invece di chiudere i battenti. Eppure, dicono dallo staff, i numeri sono eloquenti: 70mila visitatori nel 2013, contro i 20mila del 2012. Un Museo verde che cresce, quindi,nonostante gli sforzi per fare economia: costi ridotti da un milione a 500mila euro e personale tagliato da 14 a 7 unità. Di più non si riesce a fare.
Nell’attesa di una risposta da parte del Sindaco e dell’assessore Braccialarghe, si può intanto mettere una firma all’appello. Una goccia nel mare, ma almeno ci si prova. Anche solo per il valore di testimonianza e in segno di solidarietà.
– Helga Marsala
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