E Matteo Renzi mette la cultura al centro del discorso al Senato sulla fiducia. “Se si vuole che con la cultura si mangi, occorre richiamare investimenti privati”
Un discorso sulla fiducia in un ramo del Parlamento, ormai in Italia lo sappiamo bene, è spesso ben lontano da ciò che chi lo pronuncia poi potrà o riuscirà a mettere in atto. Eppure, allo stato, solo questo possiamo commentare: il discorso appena pronunciato dal premier incaricato Matteo Renzi al Senato. E se in passate […]
Un discorso sulla fiducia in un ramo del Parlamento, ormai in Italia lo sappiamo bene, è spesso ben lontano da ciò che chi lo pronuncia poi potrà o riuscirà a mettere in atto. Eppure, allo stato, solo questo possiamo commentare: il discorso appena pronunciato dal premier incaricato Matteo Renzi al Senato. E se in passate analoghe occasioni, ci saremmo ritrovati a rintracciare sparute evocazioni a questioni culturali, oggi possiamo dire che riferimenti alla cultura – a vario titolo declinati – hanno probabilmente occupato più tempo di qualsiasi altro tema, nei 69 minuti di discorso pronunciato a braccio.
Argomenti che Renzi aveva via via anticipati, ma il fatto che li abbia inseriti nell’occasione ufficiale del primo intervento parlamentare li trasforma in precisi impegni. Il più forte, quasi impensabile per chi si presenta alla guida di una governo comunque di sinistra/centro, riguarda l’apertura ai privati nelle questioni dei beni culturali. “Occorre richiamare investimenti privati, se poi si vuole che con la cultura si mangi”, ha chiarito con molta decisione. “I valori della cultura fanno di noi una superpotenza mondiale: dobbiamo valorizzarli con il massimo impegno, per esempio unendo le attività dei distretti tecnologici con le attività di gestione del patrimonio”.
Aveva iniziato, Renzi, sorprendendo molti osservatori e citando come assoluta priorità sulla quale impegnarsi quella della scuola. E con riferimento alla necessità di migliorare anche l’edilizia scolastica, aveva citato l’architetto e senatore Renzo Piano, e la sua idea di periferie urbane da “rammendare”. Poi nuove evocazioni in relazione alla riforma della burocrazia, una delle quattro spine dorsali che detteranno la sua azione all’inizio. “Se le nostre start up hanno difficoltà a decollare, a confronto di analoghi progetti di altri paesi”, ha detto, “la colpa è anche di fattispecie tutte italiane, come le conferenze di servizio, o le soprintendenze”. Che fare dunque? “Introdurre nei procedimenti pubblici concetti come quelli dell’accountability e del raggiungimento dei risultati”, garantendo per esempio tempi certi nei progetti che oggi ne risultano frenati…
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