The Guardian sceglie Erik Ravelo per la sua campagna contro l’infibulazione
Erik Ravelo, art director di Fabrica, confeziona una campagna per The Guardian: una lama e la memoria di un rito atroce, che nel mondo sacrifica migliaia di ragazze e bambine. Battaglie creative per i diritti delle donne.
Erik Ravelo è uno che dell’immagine ama il potenziale seduttivo, provocatorio, persino aggressivo. Immagini che, non senza ironia, facciano il gioco di una comunicazione mediatica destinata alla viralità e, di conseguenza, al dibattito. La scuola è quella di Oliviero Toscani e il suo ruolo di giovane art director per Fabrica – centro internazionale di ricerca sulla comunicazione con sede a Treviso, in uno spazio progettato da Tadao Ando, fondato nel 1993 proprio del grande fotografo milanese – raccoglie quell’eredità con precisione, mettendoci creatività, prospettiva e attitudine proprie.
Lo si ricorda per alcune campagne shock, come Unhate, progettata per Benetton, con gli scandalosi baci tra i potenti della terra, o come la più recente Gli Intoccabili, sette fotografie dedicate ai pericoli e le minacce che inchiodano i bambini di oggi a destini di dolore.
L’ultimo lavoro di Ravelo, lanciato questo weekend, ha di nuovo una connotazione sociale, con un alto potere di coinvolgimento emotivo. La campagna è quella lanciata dal quotidiano britannico The Guardian contro l’orrore dell’infibulazione, tradizionale pratica con connotazioni maschiliste e repressive, che nel mondo sottopone ancora 130 milioni di bambine alla sconvolgente mutilazione dei genitali.
Adottata in molte comunità dell’Africa, ma anche della penisola araba e nel sud-est asiatico (con picchi altissimi in Paesi come la Somalia, l’Egitto, l’Eritrea, la Mauritania, la Sierra Leone) quest’usanza, difesa dalle donne stesse, ha antichissime origini di natura religiosa e sociale, legate al rifiuto dell’esperienza del piacere per il genere femminile: la rimozione e la cucitura di parte dell’organo sessuale esterno – con metodi rudimentali e in assenza di condizioni igieniche – condanna le donne al dolore, tra infezioni continue e rapporti intimi strazianti. Eppure, il mancato rispetto del rito corrisponde a un marchio infamante: rifiutate come esseri impuri, le ragazze non infibulate non trovano marito e restano ai margini della società.
L’immagine scelta da Erik Ravelo per dare un volto alla campagna del Guardian è una di quelle che restano in testa, mettendo in moto pensieri scomodi, associazioni disturbanti. Secca, fredda, sintetica. Tagliente, è il caso di dire. La lama di un rasoio sezionata in più parti, come in un’automutilazione, viene trafitta dallo slogan “End Female Genital Mutilation”. Il sangue, il dolore, le grida, la mortificazione subita: nessuna traccia di realismo, nessuna crudezza documentativa nell’intuizione di Ravelo. La forza visiva e concettuale sta tutta nei bordi affilati, nei tagli ostentati, in quell’oggetto inequivocabile, che porta con sé la memoria di un’atrocità, stigmatizzata anche dall’Onu come barbara violazione dei diritti civili.
In Italia sono circa 40mila i casi di infibulazione registrati dall’Oms ogni anno. Il numero più alto in Europa.
– Helga Marsala
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