Una app per schedare e condividere informazioni sulle opere d’arte: nasce iTpc, primo strumento di questo tipo mai prodotto da un reparto dei Carabinieri. La lotta a ladri e ricettatori si sposta sul web
Fortuna vuole che la cronaca, nelle ultime ore, abbia portato alla luce un fatto che inquadra al meglio la necessità di sviluppare nuove strategie nella lotta al mercato nero dell’arte. È la vicenda assurda del Gauguin e del Bonnard acquistati 40 anni fa, alla cifra folle di sole 45mila lire, da un ignaro operaio siciliano […]
Fortuna vuole che la cronaca, nelle ultime ore, abbia portato alla luce un fatto che inquadra al meglio la necessità di sviluppare nuove strategie nella lotta al mercato nero dell’arte. È la vicenda assurda del Gauguin e del Bonnard acquistati 40 anni fa, alla cifra folle di sole 45mila lire, da un ignaro operaio siciliano in un’asta di oggetti smarriti sui treni. E risultati poi essere frutto di un colpo in quel di Londra: con le opere ad essere finalmente riconosciute per il loro effettivo valore solo oggi. Una storia che vede il reato (la messa in vendita di oggetti rubati) inavvertitamente protetto da una bolla di ignoranza, intesa nel senso ovviamente neutro del termine: senza censimenti puntuali delle opere in circolazione, senza la conoscenza di ciò è stato a suo tempo sottratto illecitamente, diventa spesso impossibile recuperare il maltolto e mettere al riparo chi compra dal rischio dell’incauto acquisto. Che non sarà un omicidio, ma siccome ignorantia legis non excusat vale comunque un processo penale con pene fino a sei mesi di carcere.
La vicenda dell’onesto uomo della strada che si ritrova per caso un Gauguin appeso in cucina diventa inavvertitamente lo sponsor migliore per il lancio di iTpc, la prima app mai licenziata da un Reparto Speciale dell’Arma dei Carabinieri. Ovviamente quello che si occupa della Tutela del Patrimonio Culturale (da qui l’acronimo), titolare di uno strumento che punta sulla comunicazione e sulla condivisione dal basso dei dati. L’app permette sia di accedere in tempo reale ai bollettini con cui l’Arma aggiorna il triste catalogo delle opere rubate, mettendo così chiunque nella condizione di verificare l’effettiva provenienza di ciò che sta acquistando; dall’altro chiama gli stessi collezionisti a censire e mettere in rete le proprie opere, creando un database collettivo che diventa ovviamente importantissimo se si diventa vittime di un furto. Un’architettura software particolarmente raffinata quella realizzata per l’Arma da Reply, azienda tutta italiana di application management: il sistema di riconoscimento delle opere avviene anche su basa visuale. Per cui è sufficiente scattare con il proprio smartphone una fotografia dell’opera in questione, sarà l’app a trovare automaticamente eventuali convergenze con i pezzi conservati nell’archivio digitale.
– Francesco Sala
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