Dagli Anthrax ai Pink Floyd: per la prima volta in Italia, a Monza, le immagini originali delle cover create da Storm Thorgerson
Pensa di frugare nello scaffale dove tieni i vinili e i cd, di scegliere tra quelli le cui copertine hanno fatto la storia del rock. Immagina di portarli in una delle sale dell’Arengario di Monza e di vederli esplodere, espandersi, ingigantirsi fino a riempire l’intero spazio espositivo. Roba da sogno lisergico per fan e collezionisti, […]
Pensa di frugare nello scaffale dove tieni i vinili e i cd, di scegliere tra quelli le cui copertine hanno fatto la storia del rock. Immagina di portarli in una delle sale dell’Arengario di Monza e di vederli esplodere, espandersi, ingigantirsi fino a riempire l’intero spazio espositivo. Roba da sogno lisergico per fan e collezionisti, ma al tempo stesso occasione ghiotta per chiunque non abbia la presunzione di considerare la musica pop un tono sotto quella colta; e per chi sappia riconoscere come nei pochi centimetri quadrati che coprono un disco si possano rintracciare immagini iconiche in grado di segnare il nostro tempo.
È scomparso un anno fa Storm Thorgerson, figura che ha contribuito grazie al suo sguardo visionario a incrementare la leggende di gente come i Pink Floyd; arriva oggi per la prima volta in Italia, nel sonnacchioso capoluogo della Brianza, il greatest hits delle sue copertine più riuscite. Sessanta fotografie, molte di grande formato, che raccontano quarant’anni di stile, mode e suggestioni. Strettissima la liaison tra l’artista e la difficile coppia formata da Roger Waters e David Gilmour: dal prisma di The Dark Side of The Moon al maiale gonfiabile volante di Animals, passando per il burning man e tutta l’iconografia a supporto di Wish You Were Here è sempre lui, Storm, ad arginare e incanalare le follie sonore dei Floyd in forme visuali sempre straordinariamente vincenti. Una predisposizione per l’occulto, il misterico, l’insondabile quella di Thorgerson, non a caso sempre al lavoro con chi al mainstream è arrivato percorrendo sentieri poco battuti, eclettici e originali. Tolta la cover per Bury The Hatchet, ultimo album degno di questo nome di Cranberries, le sue altre creazioni abbracciano band e artisti rigorosamente – a tratti selvaggiamente – fuori dagli schemi. Ed è così nel cupo surrealismo dagli echi quasi alla Magritte di Frances The Mute, disco della consacrazione per i Mars Volta, che si respira il senso profondo di una ricerca che ha camminato a braccetto con quella degli Anthrax e dei Genesis, dei Muse e dei Led Zeppelin.
– Francesco Sala
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