Rapporto Federculture 2014. L’Italia e la cultura? Un disastro che avanza. Pochi investimenti, zero strategie, pubblico disattento. Renzi, Giannini, Franceschini: serve più coraggio
Il culto della bellezza? Retorica fine a sé stessa. Parola di Federculture. Che nel convegno dello scorso 26 giugno ha presentato il suo rapporto 2014 con dati relativi agli ultimi anni e a quello in corso. Messaggio forte e chiaro: inutile indugiare sull’incredibile patrimonio artistico, storico, monumentale, che l’Italia possiede. Inutile vivere di rendita e […]
Il culto della bellezza? Retorica fine a sé stessa. Parola di Federculture. Che nel convegno dello scorso 26 giugno ha presentato il suo rapporto 2014 con dati relativi agli ultimi anni e a quello in corso. Messaggio forte e chiaro: inutile indugiare sull’incredibile patrimonio artistico, storico, monumentale, che l’Italia possiede. Inutile vivere di rendita e di autofascinazione. Quel che serve è un intervento organico e di lungo respiro, capace di rilanciare la crescita in quello che è il vero settore trainante dell’economica italiana, almeno in potenza: la cultura. Includendo nel pacchetto turismo, spettacolo, conservazione, paesaggio, produzione contemporanea, eccellenze artigianali, food, moda, cinema, design.
Il giudizio sulle azioni messe in campo dal governo Renzi in questi primissimi mesi è tiepido, anche in ragione delle tempistiche ancora strette: “Con i recenti decreti sulla cultura ci si è finalmente avviati su questa strada ma è necessario fare di più”, si legge in una nota riassuntiva. Un monito che finisce direttamente sui tavoli dei ministri Franceschini e Giannini e che chiede una maggiore radicalità, sulle linee già tracciate.
Vediamo un po’ di numeri. Intanto, quanto investono in cultura Stato e amministrazioni locali? Poco, sempre meno. Il dato negli ultimi dieci anni è diminuito di oltre 1,6 miliardi di euro, col MiBACT che per il 2014 prevede di investire 1.595 milioni, ovvero il 27,4% in meno rispetto al 2004; per il triennio 2014-2016 si prevede uno stanziamento medio pari a 1.527 milioni, con un calo ulteriore del 3,14%. Un trend in negativo che non si arresta.
Il paradosso? Ne basta uno: essere il Paese col più alto numero di beni riconosciuti Patrimonio Unesco, con 50 siti in lista, pari al 5% del totale mondiale. Il famoso petrolio non messo a frutto, materia prima che non incide abbastanza sull’economia e che anzi si sciupa, col tempo e con l’incuria.
E i privati, ieri avversati da tanti e adesso corteggiati con passione? Tra il 2008 e il 2013 le sponsorizzazioni in favore di cultura e spettacolo sono calate in media del 41%, con una inattesa risalita – pari al 6% – nel 2013 rispetto all’anno precedente. Cala anche il volume delle erogazioni derivanti dalle fondazioni bancarie: 487,8 milioni nel 2006, divenuti 305,3 nel 2013. Stessa solfa per gli investimenti delle aziende, che dal 2008 al 2012 sono scesi del 26,6%. In quest’ottica le misure di defiscalizzazione adottate da Franceschini fanno ben sperare, lasciando supporre un rafforzamento dei piccoli accenni di ripresa. E così i primi provvedimenti messi in campo per la semplificazione burocratica – su cui Federculture insiste da tempo – da spingere anche, con forza, verso il settore dei beni culturali e delle imprese creative.
Il quadro si completa con la risposta del pubblico, anche questa nel segno dell’austerity. Il valore complessivo della spesa culturale per le famiglie – cinema, teatro, mostre, concerti, etc. – diminuisce del 3% nel 2013 rispetto al 2012, mentre nel 2011 il dato era in crescita del 2,6%. Malissimo le mostre, che in un anno (2012/2013) hanno attratto il 21% in meno. Un arresto repentino, dunque; segno di una crisi ormai radicata e progressiva, tra l’impennata drammatica della disoccupazione, la pressione fiscale insostenibile, un PIL che non accenna a schiodarsi e i prezzi in zona deflazione. Economie fragili, a fronte di fragilissime strategie di cambiamento. Il caso cultura-turismo-ricerca – possibile traino economico, a cui mancano attenzione, riforme coraggiose e fondi – ne è la testimonianza più chiara.
A dare un segno positivo, in tal senso, sono i musei Statali, che nel 2013 – in controtendenza – hanno visto crescere il numero dei visitatori del 2,9% e gli introiti del 7%. Anche in questo caso il provvedimento di Franceschini, che riversa gli introiti delle biglietterie direttamente nelle casse museali, ci pare particolarmente azzeccato, in direzione di una maggiore autonomia economica e gestionale.
E il confronto con l’Europa? Scoraggiante. Basti considerare il dato della frequentazione dei musei: in Italia vi si reca almeno una volta l’anno il 30% degli italiani contro il 52% degli inglesi, il 44% dei tedeschi e il 39% dei francesi. Un fatto economico (e la domenica mensile gratis, appena introdotta, è di nuovo un buon segno) ma anche educativo: e qui il Ministro Giannini ha di che lavorare. Ripensando al ruolo della formazione artistica e umanistica nelle scuole.
Lieve crescita anche per il turismo, che a livello mondiale ha sentito meno la scure della crisi, aumentando il suo bacino. In Italia tra il 2012 e il 2013 la crescita è stata del 2,6%. Bene? Insomma. Nel complesso restiamo uno tra i Paesi più appetibili sul piano culturale e paesaggistico, ma meno competitivi a livello turistico. Tradotto: non si lavora per migliorare i servizi, la comunicazione, le condizioni generali delle nostre bellezze. Al contrario dei paesi emergenti, che continuano ad attrarre persone (e investimenti).
Altra informazione positiva, indice di una necessaria accelerazione dei processi di sviluppo, arriva dal settore dell’export dei beni creativi. Un business da 27,3 miliardi di dollari – col design in pole position – che dal 2002 al 2011 (ultima rilevazione UNCTAD) è cresciuto del 65%. Nonostante tutto, l’eccellenza creativa e artigianale, l’identità territoriale, la forza del Made in Italy, l’attrattiva turistica e culturale, continuano a fornirci una chiave. Anche su scala internazionale. Coglierne il senso, trovando la maniera per cavarne ricchezza, resta – dati socio-economici alla mano – un fatto tutto politico. Ed è una delle più grandi partite che l’Italia di Renzi, per non bucare la sua mission, dovrà essere all’altezza di giocare.
– Helga Marsala
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