Artfarm, dove l’arte incontra gli spiriti. Un report dalla tre giorni di Bonavigo: dipinti, installazioni, foto, proiezioni, dal regno delle ombre
Metti quattro ex-essiccatoi del tabacco, dai fondali neri, dalle viscere buie. Metti una masseria del Seicento con porticati, stanze padronali, salotti di rappresentanza. E uno statement che si basa sullenigma della visione (“Velo/svelo/rivelo”). Metti una ventina di artisti che arrivano da diversi paesi per interrogarsi su quanto un’opera (o un’operazione) possa manifestare, al di là […]
Metti quattro ex-essiccatoi del tabacco, dai fondali neri, dalle viscere buie. Metti una masseria del Seicento con porticati, stanze padronali, salotti di rappresentanza. E uno statement che si basa sullenigma della visione (“Velo/svelo/rivelo”). Metti una ventina di artisti che arrivano da diversi paesi per interrogarsi su quanto un’opera (o un’operazione) possa manifestare, al di là della sua fisicità. Infine metti insieme questi utopisti, che credono che basti un po’ di inchiostro per farci vedere foreste e tempeste, e che le immagini possano sviluppare all’infinito il racconto che portano dentro di sè. Il risultato? È quello che è successo, dal 27 al 29 giugno scorsi, ad Artfarm, la tre giorni di Bonavigo con arti visive, proiezioni, performance, reading. Inseguendo il “regno delle ombre”.
L’austriaca Mariette Huber distribuisce nel cortile delle orme di volpe in terracotta, mentre un’altra austriaca, Isabelle Spitzi, fotografa degli imballaggi, dando al materiale l’illusione di un oggetto. Umberto Polazzo toglie ogni maestà alla Nike, collocandola in una paradossale orizzontalità, mentre Silvano Tessarollo costruisce un luogo di fango, frequentato dalla magia delle lucciole. Gianandrea Gazzola gioca con macchine che si muovono e rumoreggiano con cadenze monotone e ossessive, e il duo statunitense Ingham e Spera realizza un ambiente con fili luminosi che sembrano dissolversi in una immaterialità cosmica. Beni Altmuller innalza una sorta di tempietto in legno, che porta con sè silenzi senza tempo e senza spazio. E poi i dipinti: quelli di Rudi Cremonini, con le sue ombre bianche che varcano la soglia delle tenebre, e quelli di Stefano Abbiati che moltiplicano le immagini, suggerendo continui abissi e resurrezioni figurali.
Questa è Artfarm: un luogo d’incontro, di scambio, di comunione, che incorpora anche i visitatori trasformandoli in partecipanti. Una cerimonia libera e aperta che ogni anno, come una liturgia laica, apre il lungo tempo dell’estate. Nella Bassa Veronese.
– Luigi Meneghelli
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