L’addio di Lago Film Fest. L’undicesima edizione non ci sarà. Colpa delle amministrazioni: “ci hanno lasciati soli”. L’intervista al direttore e all’assessore Marino Zorzato
La decima edizione del Lago Film Fest si è conclusa l’ultimo sabato di luglio. Centinaia di titoli internazionali, tra cui molte anteprime, un’ottima campagna di comunicazione, ospiti di prestigio, contaminazioni varie con arti visive e musica, un via via di registi, critici, attori, due passaggi su Blob, dieci giorni di pienone e due vincitori usciti […]
La decima edizione del Lago Film Fest si è conclusa l’ultimo sabato di luglio. Centinaia di titoli internazionali, tra cui molte anteprime, un’ottima campagna di comunicazione, ospiti di prestigio, contaminazioni varie con arti visive e musica, un via via di registi, critici, attori, due passaggi su Blob, dieci giorni di pienone e due vincitori usciti trionfanti, pochi mesi prima, dall’ultimo Toronto Film Festival. Senza dimenticare il pezzo forte: la cornice bucolica di Revine Lago, nei dintorni di Treviso, con le proiezioni in riva al laghetto naturale. Insomma, un successo. Dieci anni festeggiati con orgoglio, senza risparmiarsi un colpo: mettendoci tutta l’energia necessaria per mantenere quell’immagine di festival indipendente, non imbalsamato, ma costruito secondo standard professionali e istituzionali.
Tutto bene? Affatto. Perché Lago Fest ha deciso di metterci un punto. Secondo quanto dichiarato dai due direttori, Carlo Migotto e Viviana Carlet, l’undicesima edizione non si terrà. Per sfinimento, per logoramento, per sfiducia.
Solita questione: le risorse. Che l’ottimo staff riesce a mettere insieme, puntualmente, contando sulle sue forze. Un evento che oggi costa circa 100mila euro ma che ne costerebbe molti di più – il doppio – a voler coprire tutti le spese reali. E dov’è che si taglia, stringendo i denti e masticando sacrificio? Alla voce risorse umane, naturalmente. Lago Fest va avanti grazie a una squadra di cento volontari che non mettono in tasca un euro: dalla direzione ai segretari, dagli assistenti ai tecnici. Un dono, fatto alla collettività, restando categoricamente figli di un pensiero non profit.
Ma da dove arrivano, ad oggi, i fondi? “Il festival quando è iniziato era una piccola realtà, fatta con niente”, ci racconta Migotto. “Il contributo delle amministrazioni, in proporzione, aveva una sua rilevanza; poi siamo cresciuti via via, fino a ritrovarci con un progetto di respiro e dimensioni internazionali, e con dei costi lievitati. Adesso i contributi della provincia di Treviso e della Regione Veneto sono briciole, rispetto al budget totale: all’incirca il 6-7%. Il resto arriva da aziende prestigiose che scelgono di sostenerci, perché ci credono: la Oxydo, per esempio. E poi una serie di sponsor locali, più piccoli, e gli spettatori, che pagano un biglietto. E infine noi, la squadra, che col nostro lavoro a titolo gratuito contribuiamo a finanziare il festival”.
Tutto troppo impegnativo, dunque, per gestirlo da soli. Essendo non un’azienda, con l’obiettivo di creare utile, ma un’associazione senza scopo di lucro, con l’unico interesse di offrire un prodotto solido e qualificato al territorio. “Finora ci è andata bene”, continua Carlo, non celando la rabbia. “Ma adesso basta. Senza una struttura istituzionale alle spalle, che ci dia un minimo di garanzie – economiche, ma anche solo di sostegno organizzativo – non possiamo più rischiare. In un piccolo comune come questo l’impatto di un evento simile è altissimo: dal turismo ai tanti i fornitori coinvolti, dalle attività commerciali alla rete di alberghi e ristoranti. E poi c’è l’aspetto, fondamentale, del ritorno culturale e dell’azione sociale: ci sono giovani che quando è nato Lago avevano 15 anni, adesso ne hanno 25 e sono cresciuti con un festival internazionale nel loro cortile… C’è un borgo di 800 abitanti che in estate si ritrova insieme a 15mila persone, non per mangiare a una sagra, ma per vedere del cinema indipendente. Tutto questo avrà un peso, un valore?”.
Ce lo ha, eccome. Ma quanto ne abbiano contezza le amministrazioni, è un altro paio di maniche. “Abbiamo provato a spiegarglielo, senza ottenere risposte”, commenta Carlo. “E alle scarse risorse erogate va aggiunta la consueta lentezza burocratica, i pagamenti in sospeso delle edizioni precedenti, l’incertezza che si ripete, ogni anno, anche per quelle piccole somme. Così è durissima. Ci stiamo mettendo la faccia e tanto lavoro per produrre redditività sociale: qualcosa che serve alla collettività, non a noi. Se chi è tutore di questa collettività non sente di dover intervenire, noi non possiamo fare di più”.
Una risposta la cerchiamo dal Vicepresidente della Regione Veneto, Marino Zorzato, che è anche Assessore alla Cultura. Ed è la solita musica, la solita bandiera bianca che si alza, di fronte alla crisi: “Ci sono molte realtà importanti con cui manteniamo un rapporto costante, di stima e di sostegno. Tra questi c’è anche Lago Film Fest. Da parte nostra nessuna riduzione di impegno, dunque, nonostante la Regione, come tutti gli enti locali, abbia subito dei tagli notevoli. C’è un territorio intero che deve attivarsi, non può ricadere tutto sulla Regione: non è che un evento cresce di dimensioni ed è automatico che crescano anche i fondi pubblici… I soldi non li fabbrichiamo certo con la macchinetta, noi altri”.
Le risorse sono dunque insufficienti, pare. Ma è solo una questione di “quanto” o anche di “cosa” e di “come”? “Formazione, impresa, cultura… Tutti i settori sono in difficoltà”, conclude Zorzato. ”Eppure per Lago abbiamo mantenuto lo stesso impegno di spesa. Sarà poco, ma è quel che possiamo fare”.
Stando così le cose, un progetto virtuoso e in continua evoluzione, è destinato a morire. E non è solo un festival di cinema, a spegnersi. Non è solo un’occasione di sviluppo a venire meno, nell’isolamento faticoso della provincia. A interrompersi è anche una storia umana – fatta di idee, relazioni, processi positivi – che si è trasformata in modello: Lago Fest è la storia di un gruppo di giovani che ha capito come attivare meccanismi di pensiero, capaci di produrre microeconomia, aggregazione sociale, crescita culturale. Affiancando professionalità, indipendenza, rispetto delle regole, respiro internazionale e dimensione locale. Qualcosa di cui l’Italia ha bisogno, oggi come non mai. E di cui hanno bisogno, ribaltando la prospettiva, la politica e le amministrazioni stesse: per imparare come si fa, per capire in che direzione andare. Per riconsiderare valori, priorità, strategie.
– Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati