Un borgo del Piemonte rinasce offrendo botteghe abbandonate ad artisti artigiani: accade a San Sebastiano Curone. Con l’ok di ABO e Pistoletto
I vicoli strettissimi, chiusi tra alte case dalle facciate finemente decorate, tra stucchi e pitture dai colori sgargianti; la piazzetta del paese, romantico buen retiro dove raccogliere le stanchezze del giorno al tavolino di un bar, con il conforto di un bicchiere di bianco. Sempre buono. La cartolina è quella di un piccolo borgo della […]
I vicoli strettissimi, chiusi tra alte case dalle facciate finemente decorate, tra stucchi e pitture dai colori sgargianti; la piazzetta del paese, romantico buen retiro dove raccogliere le stanchezze del giorno al tavolino di un bar, con il conforto di un bicchiere di bianco. Sempre buono. La cartolina è quella di un piccolo borgo della Liguria, tipo Sori o Camogli: ma il mare qui non c’è e non c’entra niente. Anzi. Ed è proprio questo il problema di San Sebastiano Curone, Piemonte, provincia di Alessandria, là nella valle dipinta da Giuseppe Pellizza. Una comunità aggrappata alle propaggini dell’Appennino Ligure; che della Liguria ha certe atmosfere e certi aromi, persino certe inflessioni di accento visto che il confine regionale tra dista poche decine di chilometri, ma non il carattere di maggiore attrattiva. E quindi subisce tutte le dinamiche perverse dello spopolamento, dello sgretolamento del tessuto sociale, di un fascino architettonico insufficiente ad accendere altro se non l’entusiasmo di chi ha mantenuto da queste parti “la casa dei vecchi”. E torna a fare capolino, dalla città, giusto per un week-end all’insegna dell’esotismo di campagna.
È un progetto intelligente e come tale costruito nel lungo periodo, dunque per rimanere, quello che sta provando con coraggio a invertire la tendenza. Candidandosi a modello esportabile per uno sviluppo sostenibile. Ha luogo nel 2004 la prima edizione di Artinfiera, rassegna settembrina che porta a esporre per le vie del borgo, nello spazio di un week-end, l’esperienza di artisti artigiani in arrivo da ogni angolo d’Italia; un evento che cresce fino a richiamare, nel corso delle sue più recenti edizioni, un pubblico annuo di circa 40mila persone. Nel frattempo si stringono partnership importanti – su tutte quella con la Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto – e si matura la stesura del Manifesto dell’Artigianato d’innovazione, firmato tra gli altri da Achille Bonito Oliva. Documento che mette nero su bianco la possibilità, per questo come per i mille altri borghi persi nelle valli di mezza Italia, di ripartire dalle origini. Recuperando i valori di una cultura della concretezza che sia forza energica e vitale, apripista per nuove possibilità di sviluppo.
Oggi il nuovo step, realizzato con l’ottenimento di un importante finanziamento da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona: Artinfiera si evolve in Artinborgo, con una quindicina di antiche botteghe abbandonate finalmente recuperate e messe a disposizione dal Comune agli artigiani che sceglieranno di trasferire la propria attività in un paese che già vanta – in estate – i corsi della sua Libera Università dell’Artigianato Sperimentale. Il più utile degli atenei italiani, perché al posto di pezzi di carta dispensa sapere vero, concreto, tangibile. Si passa così dalla textile designer Lucia Lapone, specializzata nell’antica tecnica di tintura naturale giapponese dello Shibori, alle illustrazioni di Greta Penacca; dalle pratiche di rilegatura di Marta Wrubl, professionista attiva nel campo del restauro del libro antico, alla folta schiera di chi interpreta al meglio il genius loci di queste terre. Manipolando il legno dei suoi boschi generosi: scolpendo e pirografando.
Un’utopia? Pare di no, se è vero che sono una quarantina i professionisti che hanno mostrato forte interesse alla possibilità di tornare a popolare San Sebastiano. Animata in queste settimane dalle lezioni della sua università, in attesa dell’appuntamento annuale con Artinfiera.
– Francesco Sala
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