Hello Kitty festeggiata anche dal MoCA di Los Angeles. L’icona per ragazzine compie quarant’anni. Mentre gli esperti sfatano un mito: un gatto? Macché…
Tra le centinaia di personaggi partoriti da fumettisti, autori di cartoon, inventori di giocattoli e gadget, un posto d’onore lo merita l’adorabile – o per molti insopportabile – Hello Kitty. Un’icona. Conosciuta in tutto il mondo e replicata su abiti, accessori, bijoux e merchandising d’ogni sorta. Per le ragazze giapponesi, poi – le cosiddette teenager Harajuku, […]
Tra le centinaia di personaggi partoriti da fumettisti, autori di cartoon, inventori di giocattoli e gadget, un posto d’onore lo merita l’adorabile – o per molti insopportabile – Hello Kitty. Un’icona. Conosciuta in tutto il mondo e replicata su abiti, accessori, bijoux e merchandising d’ogni sorta. Per le ragazze giapponesi, poi – le cosiddette teenager Harajuku, vittime del Kawaii style, fra variopinti outfit manga, cosplay, lolita – Hello Kitty è un fenomeno di costume, un cult a cui tentare di assomigliare, anche con apposite sedute di make-up, oltre al classico tripudio di fiocchi, cuori, glitter, volant, lingerie, pupazzetti, grembiulini: tutto un ammiccare al mondo dell’infanzia, malizioso quanto basta, mixando i concetti di pop, pretty, cute.
Ed è proprio in Giappone che nacque Hello Kitty, nel 1974, per mano della designer Yuko Shimizu, facendo la fortuna (e i miliardi di dollari annui) dell’azienda produttrice, la Sanrio. Quarant’anni esatti: un anniversario che gli appassionati non mancano di festeggiare, tra eventi, convention, pubblicazioni, sfilate, mostre. Al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, il 30 ottobre 2014, è atteso il primo “Hello Kitty Con”, raduno mondiale di fan, mentre dall’11 ottobre, sempre a L.A., il Japanese American National Museum allestisce “Hello! Exploring the Supercute World of Hello Kitty”, prima retrospettiva dedicata alla micina più famosa del globo. Una micina dal sangue orientale, come è noto, che oggi scopriamo essere tutt’altro.
Secondo l’antropologa Christine R. Yano, autrice del libro “Pink Globalization: Hello Kitty’s Trek Across the Pacific” e del testo per la mostra al Japanese Museum, si tratterebbe di un equivoco: “Io stessa sono stata corretta dalla Sanrio, mentre lavoravo al mio testo. Hello Kitty non è un gatto. È un personaggio dei cartoni animati. È una bambina. È un’amica. Ma non è un gatto. Non è mai stata rappresentata come un animale a quattro zampe. Cammina e si siede come una creatura a due zampe. E ha un suo gattino, che si chiama Charmmy Kitty”. Parola di casa madre.
La biografia ufficiale, inoltre – esiste anche quella – rivelerebbe che il nome completo è Kitty White e che la città d’origine è Londra, dove la piccola vivrebbe con i genitori, George e Martha, e con la sorella gemella Mimmy. E qui arriva in soccorso la studiosa, pronta a spiegare che il personaggio fu creato negli anni Settanta, quando il fascino della Gran Bretagna seduceva la società giapponese. Disegnata quindi a immagine e somiglianza di un’ideale ragazzina inglese. Senza però fornirle connotati precisi: candida, priva di espressione, di volto, addirittura di bocca, proprio per poter assomigliare a chiunque, a qualunque stato d’animo, a qualunque linguaggio.
Cade un mito, dunque: la gattina japan è in realtà una signorina british. Sarà. Ma da fonti storiche scopriamo un’altra versione, altrettanto convincente: all’origine di Kitty ci sarebbe il maneki neko, una tipica scultura giapponese portafortuna, raffigurante un gatto bianco con una zampetta che saluta.
Di storie, leggende e vicende se ne trovano a bizzeffe, come per qualunque fenomeno di massa. Inclusa quella, immancabile, a tinte gotiche. Hello Kitty satanica? Anche. Provate a scomporre la prima parte di quel nomignolo: HELL OK… E il miagolio si trasforma in ghigno infernale…
– Helga Marsala
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