Un episodio di censura azzera la Gwangju Biennale. Si dimettono presidente e un curatore, dopo il ritiro di un dipinto che raffigura la presidentessa coreana come uno spaventapasseri
“La libertà dell’espressione artistica non dovrebbe mai essere limitata da un governo, solo per il fatto che ha il bilancio della mostra sotto il proprio controllo“. Con queste parole Yun Beom-mo, uno dei curatori della Biennale di Gwangju, annunciava nelle scorse settimane le proprie dimissioni dalla rassegna coreana, a causa di un episodio di censura […]
“La libertà dell’espressione artistica non dovrebbe mai essere limitata da un governo, solo per il fatto che ha il bilancio della mostra sotto il proprio controllo“. Con queste parole Yun Beom-mo, uno dei curatori della Biennale di Gwangju, annunciava nelle scorse settimane le proprie dimissioni dalla rassegna coreana, a causa di un episodio di censura che ora ha portato – con grande clamore – a rimettere il mandato anche a Lee Yong-woo, presidente e fra i fondatori della Gwangju Biennale Foundation. Un vero e proprio terremoto, causato da un’opera dell’artista Hong Seong-dam, presente nella mostra speciale che celebra il 20mo anniversario della Biennale.
Cosa è successo? Che l’amministrazione della città di Gwangju, facendo forza sui 2,4 milioni di dollari elargiti come contributo alla biennale, ha chiesto di apportare delle modifiche al grande dipinto, titolo Sewol Owol, ritenuto offensivo nei confronti della presidentessa sudcoreana Park Geun-hye. La quale vi risulterebbe raffigurata come uno spaventapasseri, controllato dal suo defunto padre, il dittatore Park Chung-hee. Nel tentativo di evitare la censura, qualche ora prima dell’apertura ufficiale della mostra Hong ha – ironicamente? – cambiato l’immagine della presidentessa con quella di una gallina, ma i responsabili della rassegna hanno rifiutato l’idea di modificare un’opera. Scegliendo piuttosto di ritirarla dalla mostra, e innescando la catena di dimissioni. Ciliegina sulla torta, gli artisti giapponesi di Okinawa che in segno di protesta hanno iniziato a staccare platealmente dalle pareti le loro opere presenti in mostra.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati