Esce con Il Sole 24Ore la versione italiana di “How to spend it”, storico magazine del Financial Times. Ecco perché non ci piace…
Dopo un po’ che lo sfogli torni con la memoria alla famiglia di Teofilatto dei Leonzi. Ti ricordi dell’espressione di Vittorio Gassman, straordinario Brancaleone da Norcia, davanti alla ieratica schiera di decadenti nobili bizantini che si trova davanti al muso: imbalsamati, rigidi come stoccafissi, fermi in un pallore cadaverico, quasi velati da ragnatele. Una fotografia […]
Dopo un po’ che lo sfogli torni con la memoria alla famiglia di Teofilatto dei Leonzi. Ti ricordi dell’espressione di Vittorio Gassman, straordinario Brancaleone da Norcia, davanti alla ieratica schiera di decadenti nobili bizantini che si trova davanti al muso: imbalsamati, rigidi come stoccafissi, fermi in un pallore cadaverico, quasi velati da ragnatele. Una fotografia del passato che si auto compiace, fuori dal tempo e dalla Storia, immune alla temperie che si agita attorno.
Una danza macabra senza musica, la stessa che intona l’attesa e strombazzata versione italiana di How to spend it, il ventennale magazine di lifestyle per ricchi ideato dal Financial Times, oggi portato nel Bel paese da Il Sole 24Ore.
Passi l’essere un Paese per vecchi, vada che tra i trentenni e i quarantenni di oggi la percentuale di chi può spendere migliaia di euro per una cena o un vestito è piuttosto bassa; ma questo non può necessariamente ridursi alla proposta di volti, marchi, nomi, storie, esperienze ormai trite e ritrite, assimilate al punto da essere metabolizzate fino all’assuefazione.
I trend-setter di quella che dovrebbe essere la bibbia italiana dello stile non sono, con tutto il rispetto, di primo pelo: ad essere intervistati nel primo numero Alberto Arbasino (84 anni) e Giorgio Armani (80 anni); per il lato food il riferimento resta l’ormai indigeribile risotto con foglia d’oro di Gualtiero Marchesi (84 anni), per la moda i consigli arrivano da una modella sì, ma di trent’anni fa: Inès de la Fressange. E l’arte? Speri nell’incontro con un rampante tycoon, un brillante giovane collezionista che indichi le tendenze prossime future, inviti alla scoperta e magari all’investimento mirato: e invece trovi Patrizia Sandretto Re Rebaudengo a colloquio con il 75enne Dakis Joannou, che stravede per Jeff Koons e compra Andra Ursuta e Pawel Althamer.
Insomma, partendo da un servizio di moda fotografato da Giovanni Gastel alla Reggia di Venaria e arrivando al reportage sulle aziende vinicole disegnate da archistar, tutto puzza violento di già visto. Già sentito. Già letto. Al punto che se per un errore di stampa la data stampata portasse 2004, invece di 2014, in pochi si accorgerebbero che qualcosa non va.
Ma il messaggio che passa, quello sì è preoccupante. Perché un prodotto destinato all’establishment, alla classe dirigente, al piccolo investitore, al top della borghesia italiana non sa fare altro che riproporre il già vissuto, nella reiterazione consolatoria di schemi nei quali riconoscersi, in un’Arcadia fatata dove la t-shirt nera di Re Giorgio è ancora una brillante bizzarria. Se chi deve dare il proprio contributo di idee, progettualità e investimenti per rilanciare il Paese si lascia affascinare con così poco non siamo messi granché bene.
– Francesco Sala
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