Milano Film Festival, nessuna sorpresa: vince “Navajazo” di Ricardo Silva, già premiato a Locarno. Primo premio ex aequo con l’ucraino “The Tribe”
I rumors della vigilia avevano annunciato il testa a testa fin dalla comunicazione dei dieci titoli in concorso, pronosticando che sarebbe stata corsa a due per la conquista del successo come miglior film alla diciannovesima edizione del Milano Film Festival. Scelta salomonica quella della giuria composta dallo scrittore Giuseppe Genna, dal regista Yann Gonzalez e […]
I rumors della vigilia avevano annunciato il testa a testa fin dalla comunicazione dei dieci titoli in concorso, pronosticando che sarebbe stata corsa a due per la conquista del successo come miglior film alla diciannovesima edizione del Milano Film Festival. Scelta salomonica quella della giuria composta dallo scrittore Giuseppe Genna, dal regista Yann Gonzalez e dalla critica cinematografica portoghese Salette Ramalho, che convergono infine sull’ex aequo.
Vincono allora il Navajazo del messicano Ricardo Silva e The Tribe dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy: due film completamente antitetici, con il primo a parlare il linguaggio crudo e diretto della cronaca, là dove l’altro entra con delicatezza non priva di pathos muscolare nelle dinamiche di una comunità che subisce il dramma dell’emarginazione e dell’incomunicabilità.
Silva, che con quest’opera ha portato a casa il Pardo d’oro per gli emergenti al Festival di Locarno, ci porta a Tijuana, in un inferno popolato da violenti narcotrafficanti e improbabili band goth-metal, nella definizione di un orizzonte di perversione e violenza che non concede spazio alla redenzione; con Slaboshpytskiy si finisce invece a seguire l’educazione sentimentale (e non solo) di un gruppo di studenti di uno speciale collegio per sordomuti, in un film che propone solo dialoghi nell’equivalente ucraino della LIS. E senza sottotitoli.
Menzione speciale per l’hip-hop story Brooklyn, del francese Pascal Tessaud; premio del pubblico al turco Hüseyin Karabey per Come to my voice. L’italiano Enrico Maisto porta a casa il premio Aprile, riservato al film che più risponde all’anima del festival, con il suo Comandante, docu-film che indaga il sentimento di nostalgia dell’ex classe operaia, ormai orfana della sinistra.
Telecamera affidata a una famiglia di calzolai palestinesi, gli Al-Haddad, liberi di documentare dal loro punto di vista le privazioni cui sono costretti i residenti di Hebron e della Cisgiordania: coraggioso il progetto del regista israeliano Yoav Gross, che da quel girato trae Smile, and the World Will Smile Back. Premiato come miglior cortometraggio del festival.
– Francesco Sala
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