Unilever illumina i Fori Imperiali con gli occhi di Vittorio Storaro, ecco i progetti. Roma continua ad attirare investimenti internazionali, malgrado impedimenti burocratici spesso assurdi
Addio Londra, noi scegliamo Roma. Una lettura un po’ forzata, lo sappiamo: eppure non troppo lontana dalla realtà, se è vero che Unilever, una tra le principali multinazionali di beni di largo consumo al mondo, dopo aver chiuso la collaborazione con la Tate Modern – che dette vita alla mitiche megainstallazioni delle Unilever Series, nella […]
Addio Londra, noi scegliamo Roma. Una lettura un po’ forzata, lo sappiamo: eppure non troppo lontana dalla realtà, se è vero che Unilever, una tra le principali multinazionali di beni di largo consumo al mondo, dopo aver chiuso la collaborazione con la Tate Modern – che dette vita alla mitiche megainstallazioni delle Unilever Series, nella Turbine Hall – sceglie la Città Eterna per rinverdire il proprio impegno nelle arti. E lo fa con un vertiginoso salto all’indietro di qualche millennio: sponsorizzando un grande progetto di illuminazione artistica dell’area dei Fori Imperiali. Ancora una buona notizia sul fronte del patrimonio romano, ancora una volta grazie all’iniziativa privata: con un progetto destinato a esaltare la vivibilità durante le ore notturne di una delle aree archeologiche più famose al mondo, per il quale Unilever – in realtà non nuova a contributi nel settore, con amministrazioni locali come Milano e la stessa Roma – si affida ad un nome di prestigio globale come quello di Vittorio Storaro, vincitore di ben tre premi Oscar come autore della fotografia cinematografica dei capolavori Apocalypse Now, Reds e L’ultimo Imperatore. Sarà lui a realizzare l’mpianto d’illuminazione artistica permanente della porzione iniziale dei Fori Imperiali che, nello specifico, interesserà il Foro di Augusto, il Foro di Nerva e il Foro di Traiano: ne vedete dei rendering nella gallery. E c’è già una data per l’inaugurazione: quella del Natale di Roma del 2015. Ma una riflessione sorge spontanea, anche se non ci stupiremmo se prima o poi si sollevasse qualche voce a lamentare lo sfruttamento dei nostri beni per biechi fini economici: malgrado impedimenti burocratici spesso assurdi, il patrimonio italiano continua ad attirare grandi brand mondiali, desiderosi di associare la propria immagine alle nostre bellezze. Da Tod’s con il Colosseo a Fendi con la Fontana di Trevi, fino a Yuzo Yagi con la Piramide Cestia. Perché noi invece fatichiamo tanto a convertire questa attrattiva in una risorsa?
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