Venezia Updates: Tatti Sanguneti incontra Giulio Andreotti. Lezioni di cinema, con un grande statista. Politica, storia e costumi dell’Italia che fu

L’Imperatore della Prima Repubblica, il volto storico della Democrazia Cristiana, il protagonista più longevo e potente della politica italiana, dal secondo dopoguerra fino agli anni Novanta: membro della Costituente, presidente del consiglio, ministro, sottosegretario, parlamentare per dieci legislature e nel 1991 Senatore a vita. Il volto opaco, invincibile e lucidissimo del potere. In un sol […]

L’Imperatore della Prima Repubblica, il volto storico della Democrazia Cristiana, il protagonista più longevo e potente della politica italiana, dal secondo dopoguerra fino agli anni Novanta: membro della Costituente, presidente del consiglio, ministro, sottosegretario, parlamentare per dieci legislature e nel 1991 Senatore a vita. Il volto opaco, invincibile e lucidissimo del potere. In un sol nome: Giulio Andreotti.
La sua figura minuta, in contrasto con la monumentale aura di grigio condottiero, il sorriso ironico accennato, l’omertosa eleganza, la spietata abilità al comando e la compostezza mai scalfita: un personaggio senza pari, nel teatro dell’Italia repubblicana. Scomparso a quasi cent’anni, nella primavera del 2013, questo piccolo uomo dalla vivida intelligenza, statista gelido e colto, ha portato con sé, nella tomba, interi capitoli della storia d’Italia. Quella più fosca, intricata, rimasta tra le segrete stanze di governi e sottogoverni.
Una storia che è possibile ripercorrere seguendo le vicende del cinema italiano. L’Italia, vista attraverso registi, attori, sceneggiatori, politici, amministratori. Insieme a Giulio Andreotti.
Un’idea geniale. Una di quelle che possono saltare in mente a un intellettuale del calibro di Tatti Sanguinetti. “Giulio Andreotti. Il cinema visto da vicino”, prodotto e distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, è arrivato quest’anno al Festival di Venezia. Un documentario concepito e girato anni fa, grazie a una paziente opera di ricerca e ricostruzione: tra il 2003 ed il 2005 Andreotti accettò di sottoporsi a una videointervista a puntate, affidando i suoi ricordi alle telecamere e le domande di Sanguineti e Pier Luigi Raffaelli.

Giulio Andreotti con Anna Magnani

Giulio Andreotti con Anna Magnani

Semplice, quanto efficace, la struttura: l’immagine di Andreotti, in un primo piano strettissimo, è alternata a stralci di film d’epoca e cinegiornali, fotografie e documenti istituzionali, che scorrono davanti a quegli occhi-fessura, sempre vigili. Nel perimetro del volto granitico, ogni minima flessione, ogni muscolo vivo, ogni sopracciglio inarcato o piega della bocca, lasciano intravedere, con parsimoniosa eloquenza, decenni di passioni, esperienze, successi e macerie, conflitti e sodalizi, verità taciute e strategie affilate. Il viso di Andreotti diventa cinema. Inabissato tra chilometri di pellicole.
Il film si concentra sul periodo del suo Sottosegretariato allo Spettacolo, incarico onorato tra il 1947 e il 1953. Ma l’incipit è molto anteriore, con un Andreotti diciassettenne che si ritrova sul set dell’”Alcazar”, nel 1937: l’unica volta in cui – racconta – fece il saluto comunista con un gruppo di amici burloni. Esorcismi in forma di divertite confessioni. Scopriamo la predilezione per “Dottor Jekyll e Mr. Hyde”, intorno a cui imbastisce un’inquietante riflessione sul senso del doppio: essere cherubini e insieme demoni… è possibile? In quel momento lo sguardo di Andreotti dentro al monitor, appena turbato, è quello di un uomo nello specchio.

Giulio Andreotti

Giulio Andreotti

E poi, tra decine di carte, set e memorie, la nomina a Sottosegretario, per volere di De Gasperi, e l’impegno per far risorgere il cinema italiano, nei disastrati anni del dopoguerra: Cinecittà era un campo profughi, distrutto dalle bombe. Andreotti accelera la sistemazione di migliaia sfollati e avvia i lavori di ripristino. Poi, nel ’47, il primo set: “Cuore” di Duilio Coletti, con Vittorio De Sica. Un nuovo inizio, fortunato e trionfale. Tra i suoi immediati atti politici il salvataggio dell’Istituto Luce e del suo archivio, nel ’48 il ritorno della Mostra del Cinema al Lido di Venezia, e nel ’49 la Legge di sostegno al cinema, che porta il suo nome: le risorse economiche crescono e una nuova generazione di produttori comincia a venire fuori.
Centrali le vicende legate alla censura. Quella della politica – vedi i film su Mussolini, giudicati dallo stesso Andreotti “inopportuni” – e quella religiosa. “Si cercava di evitare che si accendessero polemiche o liti“, spiega il Senatore. Niente scomodi riferimenti storici e sociali (“Umberto D.” di De Sica, per esempio, fu ritenuto dal giovane sottosegretario un film sconveniente per l’immagine dell’Italia, di cui rivelava i disagi dei pensionati), ma anche niente nudi, di persone come di opere d’arte: le famose “foglie di fico” divennero bersaglio della satira e insieme vessillo del pudore di Stato, intriso di cultura cattolica. E così, tra sforbiciate a seni e gambe scoperti, commissioni di valutazione, parole innocenti cancellate come tabù, scene sgradite di scontri di piazza tra polizia e lavoratori, racconti scomodi di scioperi e di guerre, propagande anticomuniste e continue ingerenze del Vaticano, il cinema e l’informazione si rivelavano armi affilate: pericolose, dirette e democratiche. Gestirne l’indomabile carica era un problema.

Sul finire, la straordinaria sequenza dedicata a “Ultimo tango Parigi”. Nel contrasto tra un infuocato amplesso e il viso impassibile di Andreotti, rotto da qualche fremito di imbarazzo, c’è tutto un mondo estetico, morale, culturale, vecchio oltre mezzo secolo. “Non discuto gli aspetti artistici, ma tutto questo mi riporta a quello che, con un certo disagio, ho visto in qualche allevamento di razze equine“: Giulio Andreotti, in una sola frase, appone ancora il suo sigillo severo. Ma senza perdere la sua algida ironia, aggiunge: “Comunque adesso Marlon Brando è morto. Lasciamolo in pace“. Quell’ironia che Dino Risi amava così tanto, nel Senatore, da fargli ammettere: “Andreotti è uno dei grandi italiani, insieme a Leonardo Da Vinci, Garibaldi e Federico Fellini. Un uomo che mi piace moltissimo“. Tra umana curiosità, un filo di sarcasmo e un sincero slancio d’ammirazione.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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