Italiani in trasferta. Giuseppe Gabellone da greengrassi, a Londra. Dipinti come disegni, installazioni come panneggi. Tra il pavimento e le pareti
Scultura? Pittura? Installazione? Decorazione o indagine estetica, astrazione pura o concretezza oggettuale? Giuseppe Gabellone continua ad assottigliare e confondere i confini tra dimensioni diverse, arrivando a concepire delle opere come amalgama indivisibili, articolati nello spazio. Per la sua quinta personale da greengrassi, a Londra, Gabellone torna a lavorare – come già nel 2013 alla Gamec […]
Scultura? Pittura? Installazione? Decorazione o indagine estetica, astrazione pura o concretezza oggettuale? Giuseppe Gabellone continua ad assottigliare e confondere i confini tra dimensioni diverse, arrivando a concepire delle opere come amalgama indivisibili, articolati nello spazio.
Per la sua quinta personale da greengrassi, a Londra, Gabellone torna a lavorare – come già nel 2013 alla Gamec di Bergamo – tra il pavimento e le pareti, orchestrando un sistema di segni e campiture dalla natura visiva e insieme tattile.
Lo spazio espositivo si annulla, precipitato nel colore, defunzionalizzato, quasi accartocciato nell’involucro “pittorico”. E di pittura in senso stretto, in realtà, non c’è traccia. Gabellone è uno di quegli artisti capaci di dipingere senza toccare pennello. Perché la pittura (o la scultura, a suo modo) resta una questione di modulazioni luminose, di rapporti tonali, di alterazioni ritmiche. Resta un fatto relativo all’immagine che ri-fonda il mondo, a volte raccontandolo, a volte dissezionandolo, altre smaterializzandolo o sintetizzandolo.
In questo caso, Gabellone usa la stoffa ed il disegno. Ripensa i pavimenti della galleria in chiave cromatica, attraverso delle stesure di magenta e di marrone: il tessuto trapuntato è materia spessa, concreta, ripiegata e avvolta come panneggio. Un piano dinamico che agisce sulla percezione. Sulle pareti campeggiano dei disegni a matita, risolti – per contrapposizione – in uno schema di segni geometrici leggerissimi, quasi delle elaborazioni digitali di porzioni di spazio. Ogni wall painting appare così come un intreccio fitto e impalpabile di linee, che mette in vibrazione la stanza, accordandosi al ritmo ondulatorio del tessuto. Un paesaggio artificiale che altera l’ambiente e guida lo sguardo, il passo, le sensazioni. Oltre le coordinate note. In mostra fino al prossimo 18 ottobre.
– Helga Marsala
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