Laura Biagiotti, omaggio al Futurismo. Sinfonie d’avanguardia in passerella, evocando le geometrie accese di Giacomo Balla & Co. Ancora flash dall’ultima fashion week milanese
“L’umanità si vestì sempre di quiete, di paura, di cautela o d’indecisione, portò sempre il lutto, o il piviale, o il mantello. Il corpo dell’uomo fu sempre diminuito da sfumature e da tinte neutre, avvilito dal nero, soffocato da cinture, imprigionato da panneggiamenti. […] Noi futuristi vogliamo liberare la nostra razza da ogni neutralità, dall’indecisione […]
“L’umanità si vestì sempre di quiete, di paura, di cautela o d’indecisione, portò sempre il lutto, o il piviale, o il mantello. Il corpo dell’uomo fu sempre diminuito da sfumature e da tinte neutre, avvilito dal nero, soffocato da cinture, imprigionato da panneggiamenti. […] Noi futuristi vogliamo liberare la nostra razza da ogni neutralità, dall’indecisione paurosa e quietista, dal pessimismo negatore e dall’inerzia nostalgica, romantica e rammollante. Noi vogliamo colorare l’Italia di audacia e di rischio futurista, dare finalmente agl’italiani degli abiti bellicosi e giocondi”.
Parole di genio e di ardore, scritte da Giacomo Balla nel settembre del 1914, in quello che intitolò Il manifesto del vestito antineutrale. Sono gli anni dell’exploit futurista: estetica della guerra, attrazione per la velocità, il progresso e la tecnologia, sentimento anti-borghese e vitalismo sfrenato. Una maniera d’essere e di comunicare, capovolgendo gli schemi di una società conformista e imbalsamata; un’operazione di svecchiamento totalizzante, che investì la letteratura, l’arte, la musica, gli usi e i costumi, la cucina, il design, le formule sociali. E anche la moda.
La rivoluzione futurista contagiò, come una febbre virale, l’intera impalcatura culturale di un’Italietta d’inizio secolo, pronta a sfondare con impetuoso fermento le frontiere della modernità. La moda, dunque. Se ne occuparono spesso, i futuristi, inventando un concetto di stile, ridisegnano il guardaroba ideale del cittadino progressista e irriverente, e fornendo – come nella prassi del movimento – precetti e suggestioni per un rinvigorimento radicale dell’ovvio e del banale. Ma non fu solo Balla ad esplorare il campo. Indimenticabili i contributi – pratici e teorici – di Fortunato Depero, Ernesto Thayaht, Sonia Delaunay, Enrico Prampolini.
A raccogliere questo patrimonio, oggi, è una firma d’eccellenza del fashion, tra i paladini del Made in Italy, a capo di un’azienda che ancora resiste al richiamo delle quote straniere e che punta tutto sul valore dall’artigianalità, applicata all’alta moda e contaminata con l’arte. Laura Biagiotti, stilista e collezionista, all’interno della Fondazione Biagiotti Cigna custodisce ben 130 opere di Balla, essendo da sempre studiosa e ammiratrice dell’avanguardia futurista. Un amore che ritorna a più riprese nelle sue collezioni, inclusa quella targata SS 2015, appena presentata all’ultima Fashion Week milanese, a un secolo esatto dalla pubblicazione del manifesto di Balla.
Dell’approccio futurista all’abito, tra citazioni e interpretazioni creative, si palesano quell’istinto per l’eccentrico, innestato su una classicità bon ton, quella predilezione per i tagli irregolari e le fantasie accese, quel geometrismo energico e svettante, quell’adorazione per il colore, capace di iniettare linfa nuova tra le arterie atrofizzate di un gusto imperante, orientato al cliché.
Biagiotti porta in passerella un progetto coerente, gestito tra sobrietà e ricerca, come nella cifra della maison. Tanto spazio alle stampe, ispirate a due opere di Balla della collezione Biagiotti – “Motivo per stoffa” del 1922 e “Motivi prismatici compenetrati” del 1930 – ma anche ai decori floreali di Raoul Dufy: quest’ultima una breve deviazione rispetto al tema, essendo Dufy non un futurista, ma certamente un esponente delle avanguardie storiche, nonché un artista che dalla pittura – celebre per i cromatismi saturi e accesi – giunse a sperimentare con la grafica, l’illustrazione e soprattutto il tessuto.
Stampe caleidoscopiche, quindi, che riscrivono ampi kaftani a fazzoletto ed abitini fluidi fermati in vita (comodità e versatilità restano un must della moda futurista, che inventò, non a caso, il concetto di “tuta”), gonne in organza con sottogonne di toulle, longuedress in seta con tagli asimmetrici, intrecci di impunture a zig zag, strutture a pannelli, combinazioni radiose e radianti che inneggiano al dinamismo e alla leggerezza. Senza dimenticare l’avventura tecnologica, tanto cara ai futuristi, qui esemplificata dal gioco dei tagli laser, che, bruciando il tessuto, creano fiori in rilievo come origami.
Il tutto declinando sinfonie di verdi accesi, gialli, turchesi, fucsia e violacei, fino a saturare i capi in un vortice di forme lineari ed aggressive. Il multicolor torna anche nel tricot (maglia e uncinetto), testimonianza di una tradizione manifatturiera eccelsa, innestando applicazioni hand-made e interventi finissimi su tubini, gonne, bluse in seta o in lino. Artigianalità preziosa che definisce anche le pettorine lavorate con pelle metallica e cristalli, le frange luminescenti e gli stessi accessori, come le tracolle realizzate con tecniche a intarsio o le micro clutch stampate e ricamate. Punti di luce assoluta, infine, nei pochi capi bianchi, messi in vibrazione da linee sghembe e lavorazioni geometriche o floreali ton sur ton.
Una collezione carica di italianità, nella sua accezione più colta, feconda e creativa, sulle orme di un’irriverenza estetica ed intellettuale che ebbe una portata rivoluzionaria. Immaginando, suggerisce Biagiotti, “un futuro prossimo all’insegna di tanto lavoro, enormi sacrifici e irrinunciabile bellezza”.
– Helga Marsala
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