Quasi duemila progetti per il futuro Guggenheim Museum di Helsinki. La più grande competizione architettonica in ambito museale si chiude a giugno 2015: voi chi votereste?
1715 progetti, provenienti da 77 paesi. Analizzarli è il grande compito che attende gli 11 membri della giuria, chiamati a giudicare i lavori pervenuti per la competition del Guggenheim Helsinki, la più grande in ambito museale dopo quella lanciata – ormai oltre 20 anni fa – per il cugino Guggenheim di Bilbao. Si riuniranno in […]
1715 progetti, provenienti da 77 paesi. Analizzarli è il grande compito che attende gli 11 membri della giuria, chiamati a giudicare i lavori pervenuti per la competition del Guggenheim Helsinki, la più grande in ambito museale dopo quella lanciata – ormai oltre 20 anni fa – per il cugino Guggenheim di Bilbao. Si riuniranno in Finlandia ai primi di novembre per decretare chi possiede le qualità per passare alla seconda fase della gara, i cui candidati shorlisted saranno annunciati poi il 2 dicembre prossimo. A questi sarà richiesto l’approfondimento del progetto, da presentare entro marzo 2015, a cui seguirà, a giugno, la proclamazione del vincitore, che riceverà un premio pari a 100mila euro e la costruzione del museo.
Scorrendo velocemente l’imponente gallery pubblicata dagli organizzatori, si possono fare alcune considerazioni interessanti riguardo al livello – mediamente buono – delle proposte (giunte maggiormente da Stati Uniti, Italia, Finlandia, Gran Bretagna e Giappone). Tendenzialmente si assiste alla reiterazione di stilemi ricorrenti, forme mutuate, stereotipate, rubate qua e la da esempi già noti (un pastiche architettonico che vede mixati insieme il Beauborg, l’Opera House sia di Oslo che di Sidney, per esempio). Alcuni sono fin troppo muscolari, altri invece fin troppo didattici, quasi pavidi. C’è una ricorrenza di materiali che ritornano – legno, vetro e pietra in primis – e un massiccio uso di falde inclinate, alcune erbose, altre percorribili. Grandi atrii, coni di luce zenitale, promenades architecturales. Alcuni lo immaginano come un romantico bosco di betulle, con esili colonne a sorreggere coperture sghembe. Molti lo concepiscono interamente vetrato, altri come un insieme di scatole nella scatola, altri ancora come un corpo unico, massiccio, pieno. Qualcuno ci gioca, come fosse un insieme di quinte sceniche o mucchio di neve in riva all’acqua, come un igloo o come un iceberg.
Molte linee spezzate, parecchi spigoli vivi, grandi aggetti o, al contrario, morbidezza estrema, linee curve, morfologie dichiaratamente parametriche. In pochissimi osano con edifici a sviluppo verticale, il museo è un faro che guarda il mare. La maggioranza lo adagia sul lotto predisposto, disteso. I più sognatori lo immaginano invece galleggiante, simile ad una chiatta ormeggiata nel porto. Per qualcuno è un puro esercizio di stile. Alcuni peccano in una gestione ingenua dei volumi, come dimenticando non solo le caratteristiche bioclimatiche del sito – non trascurabili – ma anche l’idea primaria dell’architettura capace di mettersi a servizio dell’arte, senza sovrastarla. Un’arte che ha senz’altro cambiato le sue dimensioni e i suoi mezzi espressivi, ma che richiede comunque un grande rispetto nella sua messa in atto verso il pubblico. Questo non implica chiaramente la creazione di anonimi spazi white cube privi di carattere, ma determina una perdita di aderenza verso una realtà che, seppur spettacolare, resta a destinazione museale e quindi di esposizione e raccolta. Senz’altro questo riaccenderà il dibattito, forse un po’ assopito, intorno alla tematica che riguardava quel boom dei primi 2000: un colosso come il Guggenheim, ad oggi, è solo uno specchietto per le allodole o è ancora capace di mettere in moto meccanismi urbani virtuosi? Noi vi facciamo vedere alcune delle proposte: a chi date la vostra preferenza?
– Giulia Mura
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