Basta lavorare gratis per la cultura: flash mob a Roma contro Governo e Comune. I professionisti protestano: dilettanti nei musei, laureati a casa
Una protesta veloce, ma sentita. Subito rimbalzata tra agenzie stampa, blog e giornali, anche grazie all’utilizzo virale di un hashtag che non lascia dubbi sul senso della mobilitazione: #bastagratis. Questo lo slogan che ha riunito oggi, dinanzi al Pantheon di Roma, un gruppo di lavoratori della cultura – archeologi, archivisti, bibliotecari, restauratori e storici dell’arte […]
Una protesta veloce, ma sentita. Subito rimbalzata tra agenzie stampa, blog e giornali, anche grazie all’utilizzo virale di un hashtag che non lascia dubbi sul senso della mobilitazione: #bastagratis. Questo lo slogan che ha riunito oggi, dinanzi al Pantheon di Roma, un gruppo di lavoratori della cultura – archeologi, archivisti, bibliotecari, restauratori e storici dell’arte – muniti di cartelli e striscioni, per un flash mob dal messaggio forte e chiaro: la cultura ha bisogno di professionisti e i professionisti vanno retribuiti. Come in qualsiasi settore.
Una banalità, se solo la si ripetesse a un cittadino tedesco a finlandese. Ma in Italia no, non è così che funziona. Per un medico, un notaio, un avvocato che lavorano dietro profumate parcelle, c’è un esercito di laureati che viene escluso dal proprio ambito professionale, a meno di non accettare un’occupazione “gratis”. Basti pensatre al recente episodio, che ha visto al centro di dure polemiche il Ministro Franceschini, legato al reclutamento di 2.000 giovani volontari inoccupati, per attività presso musei, archivi e biblioteche: un progetto sperimentale di servizio civile nazionale, che ha però fatto insorgere la massa di disoccupati con tanto di titoli e curriculum, in attesa di un lavoro vero.
Alla base l’idea malsana che occuparsi di cultura sia più o meno equiparabile a un hobby: tutti possono farlo, basta un po’ di sensibilità. Banalità pericolosa. E così, dal capitolo per eccellenza contro cui si accanisce la mannaia della spending review, la prima voce che salta è proprio quella del personale. Curatori e organizzatori non pagati; guardiani di musei arruolati tra le fila del precariato e delle cooperative sociali (tra ex detenuti e non scolarizzati); guide museali volontarie; aspiranti docenti condannati ad attese infinite prima di trovare una collocazione; valanghe di stagisti; operatori culturali, artisti e associazioni cooptati per forme di attivismo umanitario, in nome del “bene comune”.
Questo lo stato dell’arte, ad oggi. Il risultato? Chi ha i numeri giusti si ricicla nei call center, oppure sceglie di emigrare, e i dilettanti – ancora in cerca di una formazione – occupano posti strategici, accontentandosi di una mancia o anche solo dell’”esperienza”. Il grido di dolore dei lavoratori della cultura romani è allora lo stesso che attraversa l’Italia intera. Con picchi di follia e di incapacità assoluta, naturalmente, nelle regioni del centro-sud.
Ma cosa chiedevano, oggi, i manifestanti capitolini? Da un lato l’intercettazione di risorse straordinarie per assumere finalmente i tantissimi specialisti dei beni culturali, vincitori di concorso per Roma Capitale nel 2013/2014. Dall’altro, più in generale, un’inversione di tendenza rispetto all’incuria che caratterizza la gestione del patrimonio, tra economie ridotte all’osso, tutele per i lavoratori inesistenti e uno scarso riconoscimento di ruoli e professionalità: ad esempio, perché non indire un nuovo concorso pubblico per i profili tecnico-scientifici del Mibact, premiando merito e competenze e ridando ossigeno a un organico sottodimensionato?
Nell’occhio del ciclone c’è poi l’avviso pubblico diffuso dalla Soprintendenza Capitolina, nell’ambito del programma “The Hidden Treasure of Rome”, finalizzato al reclutamento di associazioni di volontariato e associazioni culturali per attività gratuite, da svolgersi presso musei, aree archeologiche e aree monumentali di competenza della soprintendenza.
Insomma: in mancanza di fondi, si fa appello ai cittadini di buona volontà. E i professionisti? A casa, ad attendere un futuro migliore. E ad attendere che un Paese allo sbando la smetta di trattare uno dei settori più strategici per l’economia nazionale e per il prestigio internazionale, alla stregua dell’ultima bocciofila di provincia o di uno circo sgangherato, con tanto di dilettanti, hobbysti, apprendisti, saltimbanchi e giocolieri. Un vizio antico, non solo degradante, ma del tutto imbecille. E non serve una laurea in marketing culturale per afferrare il concetto.
– Helga Marsala
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