Essere 10, 100, 1000 John Malkovich. Il fotografo Sandro Miller moltiplica l’identità del celebre attore: eccolo, a Chicago, nei panni di Warhol, Marylin, Dalì…
Intenso, versatile, poliedrico, una faccia inconfondibile e una maniera di stare sul set che è solo dei maestri. John Malkovich è uno dei più grandi attori viventi. Un’icona dei cinema statunitense, che ha regalato al mondo interpretazioni tutte diverse, tutte geniali, vivificate da una consapevolezza attoriale maturata fra il teatro e il grande schermo, capace […]
Intenso, versatile, poliedrico, una faccia inconfondibile e una maniera di stare sul set che è solo dei maestri. John Malkovich è uno dei più grandi attori viventi. Un’icona dei cinema statunitense, che ha regalato al mondo interpretazioni tutte diverse, tutte geniali, vivificate da una consapevolezza attoriale maturata fra il teatro e il grande schermo, capace di mille sfumature, timbri, misure. Eleganza e carattere, da perfetto istrione.
Non è un caso che il fotografo Sandro Miller abbia scelto lui per il suo ultimo progetto. Un esperimento ludico, sui temi della citazione, del rapporto tra copia e originale e del trasformismo scenico. I due si conoscevano da tempo, in verità. Un’amicizia nata intorno a un palco, nel 1990, mentre lavoravano allo Steppenwolf Theater. E rieccoli, dopo molti anni, a condividere un’idea folle e seducente, che di esprit teatrale è impregnata e che con tutto il rischio di cadere nella parodia e nel grottesco, ha invece azzeccato la chiave giusta.
Malkovich interpreta alcuni personaggi iconici del Novecento, secondo le versioni di altrettanti grandi fotografi: dal Truman Capote o il Pabo Piacasso di Irving Penn alla Marilyn Monroe di rose vestita fotografata da Bert Stern; dall’autoritratto con pistola di Robert Mapplethorpe a John Lennon avvinghiato a Yoko Ono, nella celebre foto di Annie Leibovitz; da un compassato Alfred Hitchock con un’oca spennata in mano, nel mitico scatto di Albert Watson, alla linguaccia di Albert Einstein catturata da Arthur Sasse; dall’immortale Che Guevara di Alberto Korda al Jack Nicholson in versione Joker immortalato da Herb Ritts. E poi alcuni ritratti di gente comune, divenuti icone della fotografia di tutti i tempi: le gemelline di Diane Arbus, la madre migrante di Dorothea Lange, l’apicoltore di Richard Avedon.
Operazione doppia, che affida al talento di Miller e all’intensità di Malkovich l’interpretazione di volti, di identità ma anche e soprattutto di straordinarie fotografie. L’attore diventa opera, prima che soggetto.
A colori e in bianco e nero, bellissime e spiazzanti, le foto le vedete alla Edelman Gallery di Chicago, dal 7 novembre al 31 gennaio 2015, in una mostra dal titolo provocatorio “Malkovich, Malkovich, Malkovich”. Come dire, molte facce ma un solo nome. Essere John Malkovich – dal un suo straordinario film del 1999, candidato a tre premi Oscar – essendo altre dieci, cento, mille immagini. In fondo, uno statement azzeccato per ogni attore di talento: in quella capacità di trasformarsi, diventando personaggio fino alle estreme conseguenze, resta sempre il tratto singolare delle grandi personalità, a fare la differenza. John Malkovich nella pelle di Andy Warhol, Bette Davis, Jean Paul Gaultier, Salvador Dalì, come nessuno mai: identico, ambiguo e differente. Unico e molteplice, una volta ancora.
– Helga Marsala
Catherine Edelman Gallery
300 W. Superior St. – Chicago
www.edelmangallery.com
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