Io, Luigi Franchi, in arte Zino, l’ultimo di Cesare Manzo. Lettera aperta dell’artista abruzzese ultimo ad esporre nella galleria che chiude dopo quasi 50 anni

Poche parole, solo per introdurre questa lettera aperta. È una dichiarazione di affetto verso Cesare Manzo che arriva nel momento in cui il gallerista annuncia la chiusura dello storico spazio a Pescara. Un omaggio e sostegno ad un amico che ha visto chiudersi un lungo ciclo professionale: presto la parola la daremo direttamente a lui, […]

Poche parole, solo per introdurre questa lettera aperta. È una dichiarazione di affetto verso Cesare Manzo che arriva nel momento in cui il gallerista annuncia la chiusura dello storico spazio a Pescara. Un omaggio e sostegno ad un amico che ha visto chiudersi un lungo ciclo professionale: presto la parola la daremo direttamente a lui, per ora rilanciamo queste sentite parole…

Quando la scorsa primavera Cesare mi disse che era d’accordo ad organizzare una mia personale nel suo spazio non avrei mai immaginato che fosse anche l’ultima della cinquantennale storia professionale della galleria Manzo. Per me era un’onore riuscire ad esporre i lavori nel posto in cui 15 anni prima avevo cominciato a respirare aria di arte contemporanea. Era infatti il 1998 quando mi ritrovai a frequentare quelle stanze in via Umbria, nel cuore di Pescara, tra discussioni interminabili e nottate che troppo spesso si tingevano di alba. Un luogo, al tempo, pieno di stimoli e creatività, di giovani e di maestri affermati, di sogni e di progetti che spesso prendevano vita come nemmeno nelle più belle favole. All’epoca giocavo nelle retrovie, aiutavo a realizzare le installazioni, gli allestimenti, le opere, mi sentivo un viaggiatore in continuo cammino per i sentieri più innovativi dell’espressione artistica, toccandone con mano la materia costitutiva e respirandone ogni particella. La galleria Cesare Manzo era un’esplosiva fucina di idee e confronti tutta tesa nella continua opera di sfornare le più strabilianti bizzarie del linguaggio artistico contemporaneo. Poi i casi della vita mi hanno portato in altri posti ed ecco perchè, quando Cesare mi ha offerto l’opportunità di esporre la mia prima personale proprio in quel posto, ho avuto come la sensazione che si fosse chiuso il cerchio e che quello che stavo facendo aveva un senso. “Imago mundi” è andata in scena il 31 maggio e, senza volerlo, il nome scelto per la mostra portava in sé tutto un carico di significato che si è manifestato appieno qualche mese dopo. L’immagine del mondo, di questo mondo attuale, un mondo cinico, spietato e disilluso che ha permesso con disinvoltura e noncuranza di lasciar scivolare l’arte figurativa contemporanea in un limbo di incertezza e di precarietà, in cui tutti battono le mani sotto i riflettori ma dietro le quinte son lesti a mostrare solo le spalle. Ecco perchè considero la chiusura della Galleria Cesare Manzo non solo una sconfitta collettiva dal punto di vista dell’attenzione verso la tutela della cultura ma anche una ferita aperta in una città che deve parte del suo sviluppo e del suo blasone anche a questo luogo. Proprio oggi sono stato in Galleria e vedere i quadri impacchettati, i cataloghi inscatolati, i disegni dentro le cartelle, i muri spogli graffiati solo da qualche chiodo vuoto mi ha lasciato uno strascico di melancolia e insieme un moto di gratitudine verso Cesare, un uomo che è riuscito nella titanica impresa di trasformare una piccola realtà adriatica in uno dei centri artistici più avanguardistici d’Europa e che ha avuto fiducia nella mia ricerca e nei miei lavori tanto da affidarmi simbolicamente l’ultimo atto di una storia lunga mezzo secolo. Grazie Cesare, ad maiora semper.

Zino

 

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