Nel cuore della Singapore Art Fair. Un tour per immagini attraverso le specificità della nuova fiera: dal panorama libanese alla scena indiana e della Nuova Caledonia
Si conclude con il libro rosso di Mao il viaggio nella Singapore Art Fair. Un libro impugnato dalle due sculture Red Guards! Going Forward del cinese Jiang Shuo che, ai piedi delle scale mobili del Suntec Singapore Convention & Exhibition Centre, sede della manifestazione, indicano la strada per la fiera. Sta tutto lì, nel valore […]
Si conclude con il libro rosso di Mao il viaggio nella Singapore Art Fair. Un libro impugnato dalle due sculture Red Guards! Going Forward del cinese Jiang Shuo che, ai piedi delle scale mobili del Suntec Singapore Convention & Exhibition Centre, sede della manifestazione, indicano la strada per la fiera. Sta tutto lì, nel valore estetico e non politico di quel bagliore rosso che risalta sul bronzo, il segreto di una città-stato piccola ma capace oggi di imporsi fra le nuove capitali asiatiche dell’arte contemporanea. Una metropoli che mette in campo due nuovi musei dedicati all’arte in arrivo nel 2015, aperture incessanti di gallerie e artisti che si ritrovano in spazi collettivi, e ancora finanziamenti e crescita continua.
In tale contesto la prima edizione della Singapore Art Fair, diretta da Laure d’Hauteville, è riuscita ad offrire una panoramica di alcune delle esperienze artistiche più interessanti della città e dei 22 paesi presenti in fiera definiti dall’acronimo ME.NA.SA. (Medio Oriente, Nord Africa, Sud e Sud-Est asiatico). Una novità che nelle 60 gallerie ha visto dialogare stili, approcci all’arte e tematiche d’indagine differenti ma uniti da tradizioni secolari. Il tutto legato dal turbine della globalizzazione che macina le diverse istanze senza però riuscire a svilirne le origini. Ben progettati i tre padiglioni monotematici, dal Padiglione del Medio Oriente e Nord Africa curato da Catherine David al Padiglione libanese diretto da Janine Maamari, al Padiglione dedicato a Dato’ Ibrahim Hussein presentato dalla figlia Alia, che hanno messo in mostra fotografie, qualche scultura ma soprattutto opere pittoriche.
Di medie dimensioni le sculture portate in fiera dalle gallerie, capaci di calamitare l’attenzione dei visitatori e divenire protagoniste degli spazi, come le opere di Zhu Wei, Indieguerillas, Shiko e Watanabe Osamu. E se dal Giappone arrivano colori fluo e forme rarefatte disciolte in materiali plastici come le opere di Kanako Ohya e Marina Kanamory, dall’Arabia Saudita con Anan Alolayan, sono gli sguardi delle donne e la riflessione sulla loro condizione ad essere al centro dell’opera. Dalla Francia arriva invece un percorso poli-sensoriale di Hania Farrell che rimanda alla libertà nella natura composto da video e installazione, mentre da Hong Kong sono i ripetuti condomini, alveari contemporanei, a prendere la scena. Cromie sature e tradizioni ancestrali, proprie delle opere di Mohammed Osman e Maringka Baker, occupano invece la scena indiana e quella della Nuova Caledonia.
Infine ecco Singapore che con gli occhi sgranati e ravvicinati dipinti da Mengunci Mulut, che scrutano un presente in divenire, all’insegna dell’arte. Una metropoli senza paura di mostrarsi imperfetta, ma animata dalla voglia di diventare irreprensibile, un’ineccepibile capitale dell’arte. Ripercorriamo la visita con una fotogallery mirata…
– Chiara Cecutta
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