Christo e la lunga avventura sull’Arkansas. Il fiume da impacchettare, che gli abitanti vorrebbero tutelare. Ma il giudice federale dà ragione all’artista
Buone nuove per Christo, alle prese con una estenuante vicenda legale per la difesa del suo ultimo, titanico progetto. Si tratta dell’ormai celebre fiume di stoffa argentata, una striscia di circa sei chilometri che, secondo il progetto suo e della compagna di vita e di lavoro Jean Claude, scomparsa nel 2009, dovrebbe sospendersi lungo il […]
Buone nuove per Christo, alle prese con una estenuante vicenda legale per la difesa del suo ultimo, titanico progetto. Si tratta dell’ormai celebre fiume di stoffa argentata, una striscia di circa sei chilometri che, secondo il progetto suo e della compagna di vita e di lavoro Jean Claude, scomparsa nel 2009, dovrebbe sospendersi lungo il corso del fiume Arkansas, in Colorado. Over the River è in sostanza una specie di “impacchettamento” ideale, un doppio utopico e insieme concreto del fiume stesso, che si estende per sulla sua lunghezza, per quasi 6 miglia, avvolgendone la sagoma e imponendosi sul paesaggio. Ed è proprio qui l’intoppo. Un’opera di questo tipo, fortemente impattante, altererebbe l’aspetto della vallata, disorienterebbe pecore, uccelli migratori, pesci, e recherebbe fastidio agli automobilisti della US 50, la statale corre lungo il fiume a pochi metri di distanza. Questo, almeno, secondo gli strenui oppositori.
Christo, in verità, aveva già ottenuto dalDipartimento degli Interni del governo federale l’autorizzazione a procedere, dietro presentazione di una dichiarazione di impatto ambientale, la stessa che solitamente viene richiesta per le grandi opere pubbliche. Diverse autorità locali avevano, anch’esse, fornito il loro assenso.
Ma c’è chi continua a combattere, sperando di poter bloccare i lavori, dimostrandone l’impraticabilità e gli effetti nefasti per l’ambiente. Si tratta soprattutto del “Rags Over the Arkansas River”, meglio conosciuto come ROAR, associazione non profit creata per preservare le sorgenti del fiume Arkansas. Furono loro a denunciare il progetto di Christo – ritenuto “distruttivo e pericoloso” – presso il Bureau of Land Management, il quale, però, diede parere favorevole. Partì allora un ricorso depositato presso il tribunale federale: in questi primi giorni del 2015 è arrivata la sentenza. A favore di Over the River. “Sono sempre stato fiducioso che il tribunale federale avrebbe sostenere le azioni del BLM”, ha dichiarato l’artista, “perché la dichiarazione di impatto ambientale condotto era approfondita e completa. Abbiamo ancora in sospeso una causa presso il tribunale statale, ma oggi abbiamo fatto un passo molto significativo e importante verso la realizzazione dell’opera sul fiume”. Altre sentenze sono attese, dunque, mentre ROAR assicura che verranno valutate tutte le strategie – a cominciare da un appello presso i giudici federali – per contrastare il compimento dell’opera.
Tempi previsti? Ormai andata in fumo la dead line originaria, fissata al 2014, si valuta che Over the River non potrà vedere la luce prima del 2018. Oppositori permettendo. Ora, che una parte della comunità locale rifiuti l’opera è un fatto importante, non solo dal punto di vista delle traversi legali, ma anche da quello del rapporto con il territorio. Un dato di cui l’arte pubblica deve sempre tenere conto, per sua stessa natura. Cercando mediazioni e interrogandosi sul senso della propria azione. “Ogni cosa nel mondo appartiene a qualcuno. La parte più difficile quindi è ottenere i permessi”, aveva dichiarato Christo. Assicurando, però, che “non si tratta di una normale scultura. Ci sarà bisogno di un’intera giornata per poterne fare esperienza”. Un’immersione autentica, radicale, attraverso il tempo e lo spazio. Modificando il paesaggio, in chiave poetica e concettuale. Ma per i pescatori, i lavoratori e gli abitanti della zona, quello è il loro fiume. Inviolabile, anche per l’arte.
Helga Marsala
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