L’Inno di Mameli? Troppo patriottico. Mogol firma quello della Lombardia: un regalo di Maroni alla sua terra. Come Cuffaro in Sicilia dieci anni fa…

Vi ricordate il leggendario inno elettorale di Forza Italia, quello in cui Berlusconi veniva osannato dalla gente – studenti, operai e gelatai – al grido di “Presidente siamo con te, menomale che Silvio c’è”? O quell’altro, in chiave rap, che univa il popolo a Cinque Stelle al suono di “Non siamo un partito, non siamo […]

Vi ricordate il leggendario inno elettorale di Forza Italia, quello in cui Berlusconi veniva osannato dalla gente – studenti, operai e gelatai – al grido di “Presidente siamo con te, menomale che Silvio c’è”? O quell’altro, in chiave rap, che univa il popolo a Cinque Stelle al suono di “Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta! Ognuno vale uno!”? Bene. La lista delle release politico-canore aumenta. E stavolta non c’è di mezzo un partito, ma una regione intera. La Lombardia. Che dietro commissione della sua giunta, per iniziativa del Presidente Roberto Maroni, adesso ha una canzone tutta sua. Il suo inno popolare, offerto come regalo di Natale a tutti i cittadini lombardi, sull’onda di quel regionalismo fiero di cui la Lega incarna estetica ed esprit. E allora, come far mancare all’amata terra padana una canto di unità e di identità? Maroni ci teneva.

Ed ecco, lo scorso 22 dicembre, la presentazione ufficiale al Pirellone, dinanzi ai consiglieri. Firma prestigiosa, va detto. Per fortuna la scelta è ricaduta su Mogol e Mario Lavezzi, due nomi una garanzia. In teoria. Perché il risultato, francamente, è piuttosto sconfortante. Una canzoncina smielata, con un ritornello banale e un testo senza spessore. Orecchiabile quanto basta, noiosetta e tutta uguale. Concentrato di emozioni nostalgiche e di melassa buonista (esatto, proprio l’aggettivo più usato dai leghisti arrabbiati!), del tipo “Mi ricordo la città, la mia Milano / senza odio per nessuno / E la gente silenziosa nella chiesa / a pregare tutti uniti come uno / io da qui non vado via…”, e poi uomini di buona volontà, strade di periferia, gente operosa che lavora e vive con poesia, terra piana  e montana, onestà ed energia. I cliché ci sono tutti.
Forse il tema non avrà ispirato molto i due storici cantautori milanesi, che nel passato hanno sfornato testi e musiche per gente come Lucio Battisti, Morandi, Ornella Vanoni, Caterina Caselli; forse il topos degli inni patriottici non era esattamente nelle loro corde; fatto sta che non ci pare proprio una roba indimenticabile.

Un po’ com’era accaduto per la Sicilia, regione a statuto speciale, la prima e fino a ieri l’unica a dotarsi di un inno tutto suo: a volerlo fu l’ex presidente Totò Cuffaro, nel 2003, e a firmarlo il catanese Vincenzo Spampinato. Un‘aria classica, con tanto di cori angelici e riferimenti mistico-bucolici. Che ai tempi, guarda un po’, fu oggetto proprio di attacchi politici – con fischi la sera di presentazione, al Festival di Taormina – per via dell’odor di leghismo sprigionato dall’operazione: un modo per assecondare Bossi e il suo federalismo, secondo alcuni.
Ad ogni buon conto, passata la bufera, il primo inno regionale d’Italia finì presto nel dimenticatoio. Oggi nessuno se ne ricorda più. Né dell’opera, né dei centomila euro pagati come cachet all’autore. Soldi spesi male? Questi, come altri. Quanto meno Mogol e Lavezzi hanno lavorato per generosità. Unica consolazione, dinanzi a una prova tristarella: ai contribuenti lombardi l’inno non è costato un centesimo. Liberi, casomai, di dimenticarsene già domani.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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