Lo stilista e lo scultore. Antonio Marras omaggia Costantino Nivola, l’artista sardo che fuggì a New York dal fascismo. Contrasti metropolitani in passerella
C’era una volta un giovane artista, di nome Costantino Nivola, nato nel 1911 a Orani, in provincia di Nuoro. Una passione per la scultura, un diploma in grafica pubblicitaria, guadagnato a Monza grazie a una borsa di studio, e un lavoro come direttore dell’ufficio grafica da Olivetti. Sul suo cammino incontrò Ruth Guggenheim, compagna di corso tedesca, di […]
C’era una volta un giovane artista, di nome Costantino Nivola, nato nel 1911 a Orani, in provincia di Nuoro. Una passione per la scultura, un diploma in grafica pubblicitaria, guadagnato a Monza grazie a una borsa di studio, e un lavoro come direttore dell’ufficio grafica da Olivetti. Sul suo cammino incontrò Ruth Guggenheim, compagna di corso tedesca, di origini ebraiche. Se ne innamorò e la posò, nel 1939. E fu l’inizio di un altro destino, di un’altra vita tutta in salita, tra l’esilio e la disperazione.
Le persecuzioni nazi-fasciste lo costrinsero a fuggire, raggiungendo Parigi, quindi New York. Anni difficili, quegli negli States, provando a ricominciare. Ma il dinamico milieu newyorchese fu per lui l’occasione, la spinta e la salvezza. Era il tempo delle avanguardie, di un fermento febbrile, e furono rapporti di stima ed amicizia con figure decisive come Le Corbusier, Pollock, Saul Steinberg. L’inizio, piano piano, di una brillante carriera: d’artista, di docente, di scultore, grafico e designer per l’architettura. Con molte onorificenze e riconoscimenti internazionali.
Migrante, esiliato, sognatore e appassionato: un uomo testardo e talentuoso, di cui oggi Antonio Marras ha raccontato la storia con una bella collezione. Autunno-Inverno 2015-16, passerelle milanesi. Uno dei molti personaggi, delle molte biografie che lo stilista-narratore ha messo in scena, in forma di abiti e accessori.
In pedana c’era un taxi giallo, sul fondo una cartina della Grande Mela. Tutt’intorno sfilavano giovani flâneur, a interpretare quella città dei sogni in cui l’artista sardo costruì il suo destino. Gilet, maxi colli e colbacchi di pelliccia, cappotti trapuntati e giubbotti mimetici; e poi completi anni Settanta con micro pattern geometrici, a contrasto coi maxi maglioni jacquard, pantaloni slim fit infilati negli anfibi, mood esistenzialista con dolcevita e giacche di velluto, patchwork tra tessuti tecnici, vecchie coperte e pellicce sontuose, sciarpe e cappelli da neve, camicie classiche, maglie e t-shirt stampate. In una foresta di neri, verdi militari, marroni e grigi cupi, con sprazzi qua e là di bianco e di colori solari.
È il guardaroba di un bohèmien viaggiatore, in lotta contro l’inverno e le asperità di una capitale monumentale. Casual ed elegante, raffinato ma non pretenzioso, sobrio ed eccentrico insieme. Ritratto di un intellettuale outsider, in marcia nel gelo di un’alba metropolitana.
– Helga Marsala
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