L’ultima stilettata di Sean Scully. Ai Weiwei? Un manipolatore. La storia della censura in Cina è aria fritta…
Artisti che parlano di altri artisti. Fra attestati di stima, analisi, comparazioni, e qualche volta critiche. Anche dure. Anche in controtendenza. È il caso del quasi settantenne Sean Scully, pittore statunitense di origini irlandesi, tra i più grandi del secondo Novecento, poeta dell’astrazione e del colore, due volte nominato al Turner Prize, amatissimo per la […]
Artisti che parlano di altri artisti. Fra attestati di stima, analisi, comparazioni, e qualche volta critiche. Anche dure. Anche in controtendenza. È il caso del quasi settantenne Sean Scully, pittore statunitense di origini irlandesi, tra i più grandi del secondo Novecento, poeta dell’astrazione e del colore, due volte nominato al Turner Prize, amatissimo per la sua pittura sontuosa, densa, brillante, scandita da un geometrismo tanto rigoroso quando emozionale.
In un’intervista rilasciata al Guardian e pubblicata ieri, 7 gennaio, Scully, raccontando di sé, delle origini del suo lavoro e della sua formazione, a un certo punto cita Malevich, maestro indiscusso e ammiratissimo. Uno che fece i conti con la censura di Stato, quando il realismo socialista imperava e dettava legge, bandendo qualunque forma d’astrazione, considerata un linguaggio degradante ed inferiore.
E qui Mark Lawson coglie la palla al balzo per agganciarsi all’attualità, abbozzando un paragone: in Cina, a proposito di censura, la crescente popolarità dell’astrazione non è forse dovuta alla difficoltà di censurarne il messaggio? In sostanza, la pittura astratta è “incensurabile”? “Lo è”, risponde Scully, senza mezzi termini. “Tuttavia”, aggiunge, “da quello che vedo quando vado in Cina, mi pare che la censura sia minima“. Un’affermazione inusuale, che sdrammatizza e minimizza il volto illiberale della politica cinse. E torna all’attacco, il giornalista: “E allora Ai Weiwei?!”. Già. Se è tutto un polverone gratuito, dove va a finire la vicenda infinita delle persecuzioni, dei pestaggi, delle continue ingerenze ai danni del grande artista di Pechino? Ironico e laconico, Sean Scully taglia corto: “Ah, lo sapevo che stavi per dire Ai Weiwei. Era un mio studente [a New York]; Lo conosco molto bene. Sta manipolando tutto ciò che è adatto a stimolare il suo mercato in Occidente; sta giocando una partita contro la Cina e l’Occidente lo ama per quello“. Tagliente a dir poco, il maestro americano. Che del collega tratteggia un ritratto inequivocabile: un furbetto, un manipolatore, uno che ci marcia per vendere.
Che abbia detto, con nonchalance, quello che in tanti pensano e non osano lasciarsi scappare? Ai Weiwei, con questa storia delle persecuzioni, ci è fino in fondo o un pochino ci fa, a beneficio del personaggio e delle quotazioni?
– Helga Marsala
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