Sfilata (eccellente) senza direttore creativo: a Milano la prima uscita di Gucci nell’era post Frida. Ambiguità e androginia, provocando con dolcezza
L’incertezza è l’unica certezza. Il dubbio su cosa siamo celebra il coraggio di una scelta audace come quella di fare una collezione in una settimana. E quella serie di figure che sfilano, difficili da definire uno dopo l’altra, sembrano dire che non hanno paura del nostro giudizio, se ne fregano e hanno ragione. Entusiasmo, gioia, […]
L’incertezza è l’unica certezza. Il dubbio su cosa siamo celebra il coraggio di una scelta audace come quella di fare una collezione in una settimana. E quella serie di figure che sfilano, difficili da definire uno dopo l’altra, sembrano dire che non hanno paura del nostro giudizio, se ne fregano e hanno ragione.
Entusiasmo, gioia, coraggio di una squadra che vince con dolcezza: questo arriva dopo la sfilata di Gucci Uomo a Milano. L’applauso finale che saluta l’uscita collettiva dei ragazzi dell’ufficio stile, coordinati dall’ ex braccio destro di Frida Giannini, Alessandro Michele, sembra un bel finale di film. Una collezione fatta in un lampo (per non mandare in passerella quella della Giannini, appena dimessasi dopo dieci anni alla direzione creativa), sostenuta dall’entusiasmo del nuovo presidente e amministratore delegato della maison, Marco Bizzarri.
Sul suono della colonna sonora di Single Man di Tom Ford, sfilano uomini e donne irriconoscibili, vestiti da uomo ma non è detto, il dubbio è la passerella su cui camminano. Sono belli, sono veri nella loro manifestazione di ambiguità, sono magri perché ancora indefiniti e quelle follie di abiti gli stanno meravigliosamente bene. È tutto nuovo e contemporaneo come lo sono gli adolescenti in quel momento in cui cercano di capire cosa sono e si vestono per provocare: il gilet a larghe righe rosse sulla camicia di seta rosa pallido con il fiocco al collo, il cappotto blu militare con inserti di pelliccia, la giacchina di mamma chic e magra e il grosso montgomery sulla camicia di pizzo trasparente sono le divise di una banda post romantica che gioca con il lusso.
Il must segue lo stesso diktat provocatorio: mocassini pantofole foderati di pelliccia.
Un’operazione intelligente, fatta con la dolcezza di chi si copre il viso con le mani, uscendo a salutare in passerella, perché solo qualcuno realmente capace poteva presentare la realtà del cambiamento con lo stile dell’ironia. L’androginia cupa del tailleur è colorata dal cappello di lana o dalla camicia sgargiante, alcune figure sembrano collage, come il cappotto mantella con la camicia da signora agée, col fiocco che esce dal collo di pelliccia, a sua volta negata dal pantalone e la scarpa da uomo; mentre anche la bellissima giacca a sei bottoni si adagia sui pantaloni come una camicia, togliendo ogni illusione di mascolinità precisa.
Fin troppo efficace per essere solo la sfilata di una maison che non ha ancora nominato il prossimo direttore creativo.
– Clara Tosi Pamphili
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