Tutto il minimal iconico pop di Mc Donald’s nei manifesti della nuova campagna pubblicitaria Big6 ideata da Tbwa
La potenza di un marchio sta tutta nella sua eloquenza ed incisività visiva: la capacità di raccontare storia, qualità, identità di un’azienda e dei suoi prodotti, senza bisogno di presentazioni. Niente orpelli, nomi, didascalie, sovrastrutture. Basta un brand e il messaggio arriva, sintetico e diretto. È il segreto della riconoscibilità e dell’efficacia semiotica, a cui […]
La potenza di un marchio sta tutta nella sua eloquenza ed incisività visiva: la capacità di raccontare storia, qualità, identità di un’azienda e dei suoi prodotti, senza bisogno di presentazioni. Niente orpelli, nomi, didascalie, sovrastrutture. Basta un brand e il messaggio arriva, sintetico e diretto. È il segreto della riconoscibilità e dell’efficacia semiotica, a cui tutti puntano ma che pochi conquistano. L’esempio classico? Lo swoosh della Nike, il logo globale per eccellenza, che ha fagocitato persino il proprio nome.
Ma in questa corsa verso la sintesi e la sottrazione – che sono quindi direttamente proporzionali alla forza del marchio – c’è poi un ulteriore step. E se a sparire fosse persino il logo? Se dopo nome, claim, pay off, venisse meno il marchio stesso?
È la strategia scelta da McDonald’s per la sua ultima campagna di comunicazione, “Big 6”, lanciata lo scorso giugno a Parigi con oltre 2.700 cartelloni pubblicitari. La firma è della nota agenzia francese TBWA e daquesto gennaio i manifesti sono arrivati anche in Italia: un’invasione virale, accompagnata da un app e un progetto musicale partecipativo.
Minimalismo accattivante, zeppo di riferimenti alla pop art, alla street art e alla grafica hipster style, per interpretare sei prodotti iconici della mega catena di fast-food: Big Mac, Cheesburger, patatine, Chicken McNuggets, Filet-O-Fish e Sundae.Linee essenziali, colori decisi, forme stilizzate al massimo, fino a ottenere sei piccoli brand, assolutamente unici.
IlnomeMcDonald’s salta e il logo a doppio arco diventa microscopico, quasi invisibile, relegato in un angoletto a ricordare la tipica (R) del marchio registrato. Non una frase, né una parola. Chiunque abbia assaggiato un BigMac, almeno una volta nella vita, non se lo scorda più. Inconfondibile, inimitabile. Un panino come un’icona del gusto e dello stile: questo il senso. Tutto il resto è superfluo.
I cartelloni sono bellissimi e a dir poco efficaci. E a supporto dell’operazione la app The Icon Club consente di creare con il proprio smartphone o tablet delle tracce musicali, utilizzando i suoni abbinati alle sei icone McDonald’s: bassi, beat, voci e vari pattern musicali, per comporre dei sound mix da condividere sui social, sperando di entrare a far parte della playlist McDonald’s su Spotify. Fotografando i vari manifesti in giro per le città e nei fast-food d’Italia, altri suoni possono essere scaricati, ottenendo un piccolo archivio mobile da perfetto producer digitale.
Meglio l’icona minimal-pop di un hamburger McDonald’s, che l’hamburger stesso? Assolutamente sì. Quando l’immagine fa il prodotto: cinismo, talento e abilità dei maghi della new economy.
– Helga Marsala
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